Cittadini e credenti di fronte a questo tempo e a quello che verrà
di Marco Impagliazzo su L’Osservatore Romano del 28 marzo 2020
L’emergenza che stiamo vivendo in queste settimane costringe la nostra società a inediti e repentini mutamenti. Le strade e le piazze piene di gente e luci del nostro quotidiano sono divenute buie e deserte. Il mondo è cambiato nel giro di pochissimi giorni e abbiamo ormai compreso che chiunque non abbia mai indossato una mascherina sarà costretto, prima o poi, a farlo, ovunque. Come affrontare, da cittadini e da credenti, questo tempo, e quello che verrà?
Sperimentiamo turbamento e apprensione, ci confrontiamo con la paura, ma non vogliamo essere sopraffatti da essa. L’impegno e la dedizione degli operatori sanitari che combattono in prima linea la malattia sono il simbolo di una comunità decisa ad aiutare chiunque, in particolare i più deboli e i più vulnerabili. Le tante espressioni di volontariato che restano al fianco di chi è più povero e fragile lo mostrano. I poveri, gli anziani, quanti sono affetti da patologie differenti dal covid-19, le persone con disabilità, i senza dimora, chi è in carcere, vivono oggi con maggiore sofferenza la loro condizione. È compito di ciascuno far sentire loro una vicinanza premurosa e attenta, anche se meno “fisica” che in passato.
Dovremo tutti essere attenti a quanti attorno a noi possono trovarsi in difficoltà, magari perché soli, e avviare una conversazione telefonica, inviare un messaggio, una mail, offrirsi di comprare cibo e medicine. L’epidemia rivela la nostra debolezza. Ma fa pure emergere la nostra forza: un potenziale di relazione, di capacità di cura e di tessitura, da esercitare subito, per evitare a molti di precipitare in un inferno di solitudine, mentre ci si separa per prevenire il contagio. Perché l’inferno — lo cantava anche Dante — può essere anche un luogo freddo, gelido, privo del calore della vita e delle sue interazioni, facili o difficili. Ed è soprattutto la dimensione del “senza”: senza stelle, senza tempo, senza speranza. Senza vita, senza gente, senza incontri, senza abbracci, come avviene in questa stagione che tanti affrontano in solitudine, senza il calore di una famiglia o di relazioni vere.
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Uno dei modi di definire lo Sri Lanka è la “lacrima dell’India”. La sua particolare conformazione geografica lo fa assomigliare a una lacrima: quasi fosse scivolata dal viso della grande India. Paradossalmente oggi questa definizione rappresenta la sofferenza di migliaia di srilankesi – non importa a quale etnia appartengano perché tutte sono state colpite – e di stranieri che piangono i loro morti. La sofferenza delle centinaia di feriti si somma al dolore per le persone scomparse negli sconvolgenti attentati che hanno colpito tre città del Paese. È tutto il mondo a piangere con lo Sri Lanka, mentre una condanna unanime si leva da ogni popolo, governo e soprattutto da ogni religione. Si sono voluti colpire ancora una volta i più inermi: le persone in preghiera nella grande festa di Pasqua, cuore della fede di ogni cristiano, e i turisti, che dopo lunghi tempi di guerra e di violenza, sono tornati recentemente in questo bellissimo Paese (sostenendone con la loro presenza l’economia e lo sviluppo). Il terrorismo ha colpito con il massimo della ferocia e con un’implacabile coordinazione: è risuonato in ogni dove l’urlo di una violenza cieca, che tutto vuole mettere a tacere, innanzitutto la speranza di un mondo in pace, dove sia possibile convivere tra persone di tradizioni e di fedi religiose diverse. Si può agire così solo se accecati dall’odio, che non ti fa vedere il volto delle donne che pregano di fronte alla statua di sant’Antonio, considerata miracolosa, nel santuario a Colombo, dei ragazzi stranieri che fanno colazione in un hotel prima di uscire per la gita, degli anziani pieni della gioia della festa di Pasqua che si recano alla Messa.
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Avvenire, 29 marzo 2016 di Marco Impagliazzo L’attentato terroristico nel parco giochi di Lahore nella Domenica di Pasqua è stato il più sanguinoso contro i cristiani in Pakistan dopo il bombardamento della chiesa anglicana di Peshawar, nel settembre 2013, in cui le vittime furono più di 80. È tradizione anche in Pakistan che dopo la liturgia pasquale si esca per festeggiare con la famiglia e gli amici. Non potendo colpire le chiese, protette dalle forze di sicurezza, i terroristi hanno scelto un altro obiettivo, quello della festa di famiglia. La carneficina di Pasqua a Lahore, dove hanno perso la vita più di 70 persone tra cui 30 bambini, è stata rivendicata da Jamaat-ul-Ahrar, fazione dei taleban pachistani nota per l’efferatezza dei suoi attacchi nella regione di Peshawar negli ultimi mesi e che un anno fa aveva attaccato, di domenica, due chiese nel periferico quartiere cristiano di Lahore, Yohannabad, dove morirono 17 persone. Tra queste un bambino di 11 anni, Abish, della scuola della pace della locale Comunità di Sant’Egidio. Quel giorno gli attentatori non riuscirono a penetrare in chiesa ma solo nel recinto esterno, anche grazie all`eroicità di un custode musulmano, che impedì una strage più terribile. Peshawar, Lahore, insieme a Feisalabad e Karachi, sono le zone del Pakistan dove è più presente la minoranza cristiana. E proprio questi luoghi sono stati attaccati negli ultimi anni con maggiore violenza. Da allora i cristiani in Pakistan si chiedevano quando sarebbe stato il prossimo obiettivo. Tuttavia questo pensiero non ha impedito loro di celebrare le grandi feste cristiane di Natale e Pasqua con una devozione e una partecipazione vaste e commoventi. La minoranza cristiana raccoglie, tra tutte le denominazioni, poco meno del 2% della popolazione. I cristiani appartengono quasi tutti alle classi più povere, sono impiegati in lavori umili e faticosi. Negli ultimi anni, anche grazie allo svilupparsi dell`educazione, alcuni di essi sono riusciti a emergere nella società. Generalmente vivono in quartieri marginali delle grandi città o invillaggi cristiani che purtroppo, recentemente, sono stati a loro volta bersaglio di attacchi violenti. Si tratta di una minoranza viva, vibrante, non silenziosa e non nascosta. I cristiani sono cittadini pachistani e lo riaffermano in ogni circostanza. Non sono e non si sentono stranieri e sono presenti nellavita pubblica del Paese. Eesempio più noto è quello del ministro federale per le minoranze, Shahbaz Bhatti, ucciso da estremisti musulmani cinque anni fa, al culmine di un impegno aperto e fruttuoso per i diritti di tutte le minoranze. I cristiani hanno scuole, ospedali, centri di carità. Sono luoghi aperti a tutti, specialmente ai musulmani che rappresentano la stragrande maggioranza dei cittadini, il 97%. Sono luoghi di convivenza, pacifici, dove si mostra la possibilità di abitare insieme la città dell`uomo nel rispetto e nella pace tra tutte le componenti etniche e religiose della so- cietà. Nelle scuole cattoliche imam vengono a insegnare le ore di religione islamica agli studenti musulmani, mentre gli alunni cristiani studiano il cristianesimo. Dal 1947, quando il Pakistan nacque dalla partition con l`India dopo la colonizzazione britannica, i cittadini, di qualsiasi credo religioso sono uguali davanti alla legge e viene garantita la libertà religiosa. Eppure gli ideali che avevano dato vita alla stagione dell`indipendenza sembrano oggi essere spazzati via da una forma di estremismo violento e cieco, quello dei taleban, che non riconosce le minoranze, attacca la convivenza pacifica e punta alla creazione di una sorta di califfato, alla stregua di altri gruppi tristemente noti, da Daesh a Boko Haram. Sono fenomeni sempre più aggressivi e spregiudicati, di fronte ai quali l’apparato statale non sembra preparato. E tante sono anche le vittime musulmane di questi attacchi terroristici. Ci fermiamo, una volta di più, a riflettere sul martirio dei cristiani in questa Pasqua insanguinata. Ci si chiede: perché tanto dolore e morte? La risposta è ancora una volta nella Croce di Cristo. I cristiani, umilmente, seguono Gesù, mite e umile di cuore, che non ha voluto salvare se stesso ma ha dato la sua vita in riscatto di tutti. Così continua a essere. di Fabio Colagrande “Papa Francesco, come il suo predecessore Benedetto XVI, e come S. Giovanni Paolo II, mostra una grande attenzione per il tema dei nuovi martiri. E’ un tema sempre più presente nella vita della Chiesa, com’era stato bene evidenziato durante il Giubileo del 2000. Oggi molti cristiani soffrono nel mondo ed è molto importante ricordare la loro sofferenza e vivere la grande comunione della Chiesa a cui il Papa ci richiama”. Marco Impagliazzo, storico e presidente della Comunità di sant’Egidio, commenta le parole del Papa all’Angelus della giornata dedicata al primo martire della Chiesa, Santo Stefano, e il suo invito a pregare “per quanti sono discriminati, perseguitati e uccisi per la testimonianza resa a Cristo”. “La festa del Natale è seguita, dal giorno in cui si ricorda il Santo Protomartire”, sottolinea Impagliazzo. “D’altronde anche nel racconto della Nascita di Gesù c’è un seme di violenza, come si vede nella strage degli innocenti ordinata da Erode. Gesù che nasce è un seme di contraddizione. La sua vita è un segno di contraddizione. E segno di contraddizione rappresentano oggi i cristiani in tante società, per il fatto che sono portatori della logica dell’amore di Dio”. 2014, anno di persecuzioni “Il 2014 – ricorda il presidente della Comunità di sant’Egidio – è stato un anno particolarmente drammatico per le persecuzioni subite dai cristiani in Iraq, Siria, Pakistan e altri paesi dell’Asia”. “Lo stile di vita dei cristiani, ispirato all’amore, dà fastidio in società in cui la violenza, la divisione e la sopraffazione sembrano essere l’unica legge”. “In questo senso – prosegue Impagliazzo – i cristiani portano anche una grande testimonianza di carità, dialogo, incontro e voglia d’unità. Unità che spesso il mondo non riconosce perché si preferisce la divisione, se non addirittura la guerra”. La coerenza dei cristiani All’Angelus del 26 dicembre il Papa ha ricordato che seppure non tutti i cristiani sono chiamati, come santo Stefano, a “versare il proprio sangue”, “ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa”. “I cristiani debbono vivere come discepoli, alla sequela di Gesù, dunque devono essere coerenti soprattutto al comandamento dell’amore, che è il più importante che ci è stato dato”. “La nostra grande coerenza deve essere quella dell’amore verso Dio, i fratelli e il nostro prossimo”. Assicurare la libertà religiosa Il Papa ha anche pregato perché in ogni parte del mondo si rafforzi l’impegno per “riconoscere e assicurare concretamente la libertà religiosa”, definita “diritto inalienabile di ogni persona umana”. “Si tratta di un principio fondamentale del magistero pontificio”, ricorda Impagliazzo. “E ciò è segno di come la Chiesa cattolica abbia vissuto un aggiornamento profondissimo. Il tema della libertà religiosa fu infatti una delle conquiste del Concilio Vaticano II. Tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, i cattolici hanno fatto della libertà religiosa una loro bandiera. Il rispetto della propria fede, la libertà di professarla, è per noi ciò che sta nel cuore della vita di tanti uomini e donne al mondo. Noi non difemdiamo solo la libertà religiosa dei cattolici, ma quella di tutti. Perché sentiamo che in una vita religiosa, corrispondente ai principi dei libri sacri di ogni religione, ci può essere il fondamento dell’unità del mondo”. La cultura dell’incontro “L’impegno per il rispetto di questa libertà deve far riferimento, innanzitutto, alla grande istanza internazionale delle Nazioni Unite. Un’idea, unica al mondo, che va difesa”, conclude Impagliazzo. “Ma bisogna anche continuare ad impegnarsi perché le religioni non siamo elementi di divisione ma di unità. Il tema del dialogo interreligioso, il tema dello Spirito d’Assisi, resta una grande arricchimento per il mondo. E questo incontro fra religioni, che si sta moltiplicando nelle nostre società per la presenza di tanti immigrati, è un incontro fecondo”. “Quindi la grande testimonianza che noi possiamo dare è soprattutto questa: non smettere mai di credere nella cultura dell’incontro”.
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Terrore in Sri Lanka contro i costruttori di ponti. Mai ci abbiano in ostaggio
Testimoni tenaci. Cristiani pakistani, cittadini e martiri
Cristianofobia, Impagliazzo: siamo segno di contraddizione
Radiovaticana, 19 dicembre 2014