Le tragedie sulle vie della migrazioni. Ciò che deve succedere

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di Marco Impagliazzo su Avvenire del 26 luglio 2019

Era un mese fa su un fiume americano: due corpi a faccia in giù, un uomo e una bambina. Uniti da una maglietta, dall’affetto reciproco, da una speranza coltivata insieme. Ma anche dalla morte. Eccoli immersi nell’acqua torbida di fango. Óscar e Valeria, padre e figlia, migranti salvadoregni affogati nel tentativo di attraversare il confine fluviale tra Messico e Stati Uniti. Quell’immagine simbolo della tragedia dei migranti che dal Centro America cercano la via della felicità a nord del Rio Grande, negli Usa, si affianca idealmente a un’altra foto, quella del piccolo Alan Kurdi, annegato nel Mediterraneo.
È successo un mese fa, nel Nuovo Mondo. È successo troppe volte nel Mediterraneo. Succede ancora oggi: giunge la notizia di più di cento vite umane annegate nel Mare Nostro. Una tragedia annunciata. Di fronte alla quale stridono le accuse e i decreti contro chi salva in mare e le parole ipocrite del mondo politico europeo che gira intorno al problema senza affrontarlo veramente. Ecco perché ricordare è un dovere. Farsi commuovere e muovere da quei fotogrammi di Óscar e Valeria, dal ricordo di Alan e dalla notizia delle vittime di ieri, uomini, donne e bambini, esseri umani dei quali non vedremo mai il volto, è necessario, perché l’umanità non muoia ancora tra le onde di un fiume o del mare.
Di speranza si muore ancora, nel Mediterraneo come pure lungo le altre rotte dell’immigrazione verso l’Europa e gli Stati Uniti. Tra i muri che s’innalzano e le navi che si fermano, il risultato è un’ecatombe. Sant’Egidio ha calcolato in almeno 38.480 i caduti e i dispersi dal 1990 a oggi nel tentativo di raggiungere il continente europeo, «mentre nel primo semestre del 2019 sono già 904 i morti in mare», rivela Amnesty International, sottolineando la crescita della percentuale di chi non ce l’ha fatta sul totale complessivo dei partenti: «Se nel 2017, considerando solo il Mediterraneo centrale, il tasso di mortalità di chi intraprendeva un “viaggio della speranza” era di 1 su 38, nel 2018 è stato di 1 su 14».