No alla politica delle emozioni. Perché bisogna ancora lottare per abolire la pena di morte

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da il Foglio del 4 dicembre 2018

di Marco Impagliazzo

In una società dove crescono paura e frustrazione si tratta di una battaglia assoluta per la vita e per tutte le vite. L’intervento del presidente della Comunità di Sant’Egidio all’XI congresso internazionale dei ministri della Giustizia

Parlare di abolizione della pena di morte in un tempo in cui domina la “percezione” della realtà sulla realtà stessa, sembra difficile. In effetti la “santa ignoranza” odierna – come la chiama Olivier Roy – sembra aver tagliato il legame storico che esisteva tra cultura e qualunque tipo di idea o fede, umana, religiosa o laica, per affidarla al sentire individuale, all’emotivo. E l’emotivo non è razionale, logico o conseguente: investe gli individui e la società tutta, trascinandoli con forza anche laddove non andrebbero. Sulla pena di morte è facile lasciarsi trascinare, specie dopo efferati delitti. E magari trovare di volta in volta giustificazioni al suo utilizzo nella religione ma anche nella (molto secolarizzata) ricerca di stabilità o di tranquillità.

È quella geopolitica delle emozioni, fatta di paura e frustrazione, di cui scrive Dominique Moisi: sulla società passano onde emozionali, mosse in nome dello slogan del momento (quelle narrazioni che i manipolatori della comunicazione conoscono bene), nutrite dalle frustrazioni e dalle paure (che da quotidiane si fanno assolute) e che pretendono soluzioni decise e rapide. Una situazione ottimale per i sostenitori della pena di morte, per i quali quest’ultima si presenta come soluzione rapida e semplice appunto, radicale e definitiva. Sono proprio tali presunte qualità a renderla popolare di questi tempi: sembra corrispondere meglio al bisogno di sicurezza di tutti, ma anche a quello di sovranità o di purezza identitaria, a quello di radicalismo religioso (magari apocalittico) ecc. E così vediamo con sgomento che la pena di morte viene utilizzata (e giustificata) anche e soprattutto da quel terrorismo fanatico che vorrebbe omologare tutto, o da regimi sempre più autoritari.

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