Terrore in Sri Lanka contro i costruttori di ponti. Mai ci abbiano in ostaggio

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Uno dei modi di definire lo Sri Lanka è la “lacrima dell’India”. La sua particolare conformazione geografica lo fa assomigliare a una lacrima: quasi fosse scivolata dal viso della grande India. Paradossalmente oggi questa definizione rappresenta la sofferenza di migliaia di srilankesi – non importa a quale etnia appartengano perché tutte sono state colpite – e di stranieri che piangono i loro morti. La sofferenza delle centinaia di feriti si somma al dolore per le persone scomparse negli sconvolgenti attentati che hanno colpito tre città del Paese. È tutto il mondo a piangere con lo Sri Lanka, mentre una condanna unanime si leva da ogni popolo, governo e soprattutto da ogni religione.

Si sono voluti colpire ancora una volta i più inermi: le persone in preghiera nella grande festa di Pasqua, cuore della fede di ogni cristiano, e i turisti, che dopo lunghi tempi di guerra e di violenza, sono tornati recentemente in questo bellissimo Paese (sostenendone con la loro presenza l’economia e lo sviluppo). Il terrorismo ha colpito con il massimo della ferocia e con un’implacabile coordinazione: è risuonato in ogni dove l’urlo di una violenza cieca, che tutto vuole mettere a tacere, innanzitutto la speranza di un mondo in pace, dove sia possibile convivere tra persone di tradizioni e di fedi religiose diverse. Si può agire così solo se accecati dall’odio, che non ti fa vedere il volto delle donne che pregano di fronte alla statua di sant’Antonio, considerata miracolosa, nel santuario a Colombo, dei ragazzi stranieri che fanno colazione in un hotel prima di uscire per la gita, degli anziani pieni della gioia della festa di Pasqua che si recano alla Messa.