Durante la Seconda guerra mondiale a varcare le soglie delle case religiose a Roma e quelle del Vaticano non furono solo ricercati, antifascisti, ebrei, ma anche opere d’arte d’inestimabile valore provenienti da ogni parte d’Italia (Veneto, Lombardia, Marche, Campania), protette nei sotterranei dei Musei Vaticani. Dal 15 novembre 1943 fino al giugno 1944 giunsero in Vaticano 714 casse di opere d’arte tra le più note del paese: ricordiamo tra le tante La Madonna con bambino di Botticelli; La conversione di Saul, La crocefissione di San Pietro, San Matteo e l’angelo, Narciso di Caravaggio; San Girolamo, La flagellazione di Cristo e La Madonna di Senigallia di Piero Della Francesca; San Giorgio e San Sebastiano di Mantegna; La tempesta e La vecchia di Giorgione; La Fornarina e Lo sposalizio della Vergine di Raffaello e tante altre opere di Tintoretto, Tiziano, Giovanni Bellini e non solo.
È una storia poco nota riportata alla luce dal bel libro di Gabriele Rigano, professore di Storia contemporanea presso l’Università di Roma Tre, Combattere in un museo. Vaticano, Italia, Germania e il destino dell’arte in guerra (1943-1945), pubblicato da Artemide editore (pagine 260, euro 30,00). L’autore, che ha lavorato sulle carte del pontificato di Pio XII negli archivi vaticani, ricorda come il generale Mark Clark, comandante la V armata americana, durante la campagna d’Italia ripetesse: «Fare la guerra in Italia è come combattere in un maledetto museo». Un’espressione simile è attribuita al generale tedesco Albert Kesserling: «Non immaginavo proprio che sarei stato chiamato un giorno a fare una guerra in un museo!».
Di fronte ai tragici pericoli derivanti dalla guerra e dai suoi inaspettati sviluppi, tra bombardamenti alleati, furti dei nazisti e ai conseguenti irreparabili danni, alcuni dirigenti dell’amministrazione dello Stato preposti alla tutela del patrimonio artistico, trovarono la forza di immaginare soluzioni ardite, progettando un piano che prevedeva lo spostamento delle opere d’arte in territorio neutrale, nella Città del Vaticano. Si trattava di Marino Lazzari, Emilio Lavagnino, Giulio Carlo Argan, Palma Bucarelli, Pasquale Rotondi, Fernanda Wittgens, l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Babuscio Rizzo. Da parte vaticana fu Pio XII a dare il suo consenso, attraverso il segretario di stato Luigi Maglione, e il lavoro indefesso del direttore delle Gallerie pontificie, Bernardino Nogara.
L’autore, sfuggendo alle semplificazioni e mostrando la complessità della storia, mostra che anche alcuni tedeschi si prodigarono per la salvezza dell’arte italiana. Il Vaticano si trasformò così in deposito e rifugio di una enorme parte del patrimonio artistico e storico-culturale, ma anche archivistico e bibliotecario, messo in pericolo dalla guerra. Una sorta di museo universale che ha permesso di tramandare alle generazioni successive, anche a noi quindi, tesori inestimabili del pensiero e dello spirito.
Fu una vicenda che vide collaborare tanti, anche su fronti opposti, soldati, storici dell’arte, sacerdoti, italiani e tedeschi (contro altri italiani e altri tedeschi), in nome di un patrimonio comune che trovò rifugio in un territorio neutrale come la Città del Vaticano. Come scrive Rigano: «In questo contesto si collocano e svolgono un ruolo, soggetti e territori neutrali, che tentarono con fatica e travaglio di svincolarsi dalle dinamiche del conflitto e degli schieramenti, per preservare spazi di dialogo e collaborazione nelle tempeste della storia, che in certi momenti sembrano travolgere tutto».
Gli odii nazionalisti e razziali, che gettarono il mondo nel baratro in quegli anni, proiettano la loro ombra sinistra anche sul nostro mondo, funestato da tanti conflitti. In questo senso il volume di Rigano racconta una storia che non riguarda solo il passato, ma anche il nostro presente, indicandoci come interessi comuni possono portare a collaborare anche persone molto diverse, che la storia ha messo su fronti opposti.
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