Il muro che tiene separati gli anziani

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di Marco Impagliazzo su Corriere della Sera del 22 settembre 2020

Un’ampia categoria di cittadini è ancora grandemente esclusa da questo ritorno ad una «normalità protetta»

Caro direttore, nelle ultime settimane, nonostante la permanenza della pandemia da Covid 19, si è giustamente scelto il progressivo ritorno — con le precauzioni del caso — non solo alle attività lavorative e scolastiche, ma anche alle relazioni sociali, a partire dall’estate, nei luoghi turistici e in ogni città, talvolta con preoccupazione per gli assembramenti provocati. C’è però un’ampia categoria di cittadini che è ancora grandemente esclusa da questo ritorno ad una «normalità protetta»: gli anziani «istituzionalizzati».

La Comunità di Sant’Egidio, presente da anni con operatori e volontari in centinaia di residenze sociosanitarie e socio-assistenziali, ritiene fortemente riduttive le «nuove linee guida» dell’Istituto Superiore di Sanità per le visite negli istituti di familiari ed amici. L’iniziativa poteva essere un passo positivo verso il reinserimento degli anziani nella socialità. In realtà così non è stato. Nonostante le pesantissime restrizioni alle relazioni sociali patite dagli over 65 durante il lockdown fino ad oggi, con gravi conseguenze psicologiche e sanitarie, le linee guida esprimono una politica di protezione degli ospiti estremamente restrittiva riguardo alle relazioni interpersonali, tale da configurare una violazione dei diritti individuali. Mentre si comprendono facilmente le restrizioni applicate a chi è infetto e dunque sottoposto a regime di quarantena, appare assai più discutibile attuarle per chi dovrebbe essere protetto e non è portatore di alcuna infezione. Si giunge, in taluni casi, ad imporre misure restrittive non lontane da quelle utilizzate in un regime carcerario.

Basta pensare che non viene affermato il diritto a ricevere visite, ma tutto rimane a discrezione del responsabile della struttura e riservato a casi eccezionali oltre alla limitazione a un solo familiare per visitatore e il massimo di 30 minuti per la visita. Piuttosto che una politica restrittiva, riteniamo sia necessario il contrario, cioè favorire maggiormente i rapporti degli ospiti con l’esterno, pur con le necessarie cautele, includendo, oltre ai familiari, anche amici e volontari, considerato il grande numero di persone sole tra gli ospiti.

Tali restrizioni non garantiscono una protezione efficace per i più fragili, mentre è accertato che sono le relazioni personali a costituire un indispensabile fattore di protezione per la salute fisica, mentale e psichica di ogni individuo. Certo, occorre assolutamente evitare nuovi focolai di Covid-19 negli istituti, come è purtroppo avvenuto in modo drammatico nei primi mesi della pandemia. Va però ricordato che la grande maggioranza dei contagi in queste strutture non è avvenuta a causa delle relazioni con i familiari o altri visitatori — che invece sono stati i primi a denunciare ciò che stava accadendo — ma per la mancata osservanza delle norme di prevenzione da parte degli istituti che ospitano gli anziani. E’ necessario, piuttosto, produrre controlli più stringenti sul personale sanitario che – nonostante l’eroismo personale di molti operatori – risulta troppo spesso coinvolto, suo malgrado, nella catena dei contagi e sulle politiche attuate dalle direzioni di tali strutture.

La difficoltà o l’impossibilità di fatto di avere notizie degli ospiti, lamentata da più parti — spesso dai parenti — non è stata inoltre oggetto di attenzione nell’ambito delle linee guida fissate dall’Istituto superiore di sanità. È invece necessario, quando non sia possibile un incontro in presenza, indicare almeno figure di riferimento che garantiscano informazioni e relazioni, anche con videochiamate e mezzi informatici, strumenti che mancano quasi del tutto nelle strutture ospitanti.

Anche per quanto riguarda la tutela della salute degli ospiti degli istituti rileviamo pesanti criticità. Il documento sconsiglia, ad esempio, di uscire per visite specialistiche senza proporre alternative: è una disposizione che limita di fatto il diritto alla cura, tenendo presente che si tratta di persone con patologie anche gravi o croniche che necessitano di essere seguite adeguatamente. E anche il suggerimento ai medici di famiglia di ricorrere alla telemedicina, notoriamente ancora poco diffusa negli istituti per anziani, invece della visita in presenza — che non sarebbe impossibile garantire — produrrà probabilmente una riduzione della tutela sanitaria. Gli anziani, anche quelli «istituzionalizzati», non possono diventare cittadini di serie B, ma al contrario, nel rispetto rigoroso delle procedure di prevenzione, essere i primi a godere delle attenzioni delle istituzioni e della società italiana. Non separiamo i destini di chi è più giovane da chi è anziano! La società ha bisogno di ponti e non di muri.

Marco Impagliazzo
Presidente della Comunità di Sant’Egidio

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