Seconde generazioni, i nuovi italiani

Il quadro del Censis

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Lo studio che il Censis ha di recente dedicato alle seconde generazioni in Italia, a ragazze e ragazzi nati e cresciuti nel nostro Paese, “nuovi italiani” in quanto figli di almeno un genitore straniero, è di grande interesse per guardare ai fenomeni migratori non con le lenti della semplificazione o – peggio – del pregiudizio, bensì attraverso la chiarezza dei dati e la realtà dei fatti.

Il contributo fotografa la ricaduta, nelle classi di età più giovani, dei cambiamenti in atto nel mondo dell’immigrazione, restituendoci un quadro in cui spiccano le stesse speranze e le stesse ansie che vediamo negli occhi dei figli di chi è italiano da più generazioni, in un patchwork in cui ciò che unisce e accomuna è molto di più di ciò che differisce o separa. I tratti comuni sono prevalenti in un panorama giovanile in cui le diversità appaiono un punto di partenza, ma residuale, e non un punto d’arrivo.

Di questo ringraziamo la capacità d’integrazione che, nonostante tutto, il nostro Paese ha saputo esprimere per chi è giunto qui da noi carico di attese, di problemi e di determinazione. È anche grazie a loro che l’inverno demografico è più mite, dal momento che un neonato su cinque è figlia o figlio di stranieri. Ed è anche grazie a loro che le nostre scuole restano aperte, visto che un iscritto alla scuola primaria su sette ha genitori nati sotto un altro sole.

Al Censis si parla di “integrazione del quotidiano, quel processo silenzioso, di tipo molecolare, che avviene nell’Italia dei campanili”. È il modello “latino” di cui ha parlato qualche anno fa Andrea Riccardi, per cui l’integrazione si fa in un certo modo “da sé”, con la buona volontà di molti italiani e il sogno di molti migranti. Lo contraddistingue un tratto “adottivo”, che va traghettato nel futuro, se si vuole farlo convivere con una cultura pubblica e con scelte istituzionali e legislative.

L’allora ministro dell’integrazione Riccardi parlava di una “capacità associativa – appunto – “adottiva” che la nostra società ha saputo esprimere nelle sue più minute e diffuse articolazioni: il nucleo familiare, il condominio, le associazioni laiche e cattoliche, l’istituto scolastico, il sindacato, l’impresa, le cooperative con un successo sorprendente, forse superiore a quello raggiungibile con approcci più pianificati”. Tutto ciò ha contribuito a rendere questi bambini e giovani di origine non italiana “figli di fatto” (prima che de iure) della più grande comunità nazionale, evitando ghetti e chiusure.

È evidente la stabilizzazione della presenza di migranti nel nostro paese. Si è chiusa la tumultuosa stagione degli arrivi sempre crescenti – e spesso mediatizzati in funzione propagandistica o sensazionalistica – e si è aperta una stagione diversa. Siamo di fronte a una presenza più consolidata, che vedrà tutti noi confrontarsi non con il nuovo arrivato, ma con un uomo o una donna che hanno già trascorso la quasi totalità della loro vita qui in Italia: «Il 77,4% dei giovani intervistati e nato in Italia e il 22,6% è arrivato nel nostro Paese in età prescolare. Il 76,6% ha la cittadinanza italiana, quota che sale all’80,4% tra chi è nato in Italia».
A scuola ci si accorge di come cambi questa presenza che, per semplicità, definiamo “straniera”. Anche se non lo è, anche se la gran parte degli alunni non italiani che frequentano i corsi hanno alle loro spalle itinerari esistenziali, culturali e linguistici, non dissimili da quelli dei loro coetanei. Le seconde generazioni sono composte di italiani a tutti gli effetti, anche se non dimenticano il Paese dei genitori, vivono l’orgoglio di una storia che affonda le sue radici in un altrove, sentono il legame religioso in maniera più profonda di altri. Abbiamo di fronte ragazzi a volte somaticamente un po’ diversi, ma che parlano la nostra lingua, conoscono la nostra storia, respirano la nostra culturale letteraria, artistica.
È una svolta nella vicenda migratoria. Ed è una grande occasione. Quella di una prospettiva nuova, non più impaurita e inconcludente, bensì lungimirante e fattiva. Un’occasione che non va sprecata.

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