Gian Franco Saba, arcivescovo di Sassari, ha di recente dato alle stampe un interessante volumetto dal titolo Paideia e politeia. Cultura dell’interiorità e buon governo: un insegnamento dai Padri della Chiesa (Tau, pagine 132, euro 20,00). Il testo «si propone di indagare il nesso tra la paideia cristiana e la comunità politica ed è inserito in un più ampio progetto che intende mettere in dialogo popoli, culture e religioni», si legge nella prefazione.
È il progetto della “Fondazione Accademia”, casa plurale che aiuta a superare l’indifferenza, ad aprire il proprio cuore, i propri occhi, la propria mente all’Altro. Nel conoscere e riconoscersi, nel favorire il dialogo, nel creare connessioni, nel comporre alterità, nell’accettare meticciati, ci si esercita all’arte di cui il nostro tempo ha più bisogno, all’arte del convivere con l’Altro, in un mix di realismo e di speranza. È il realismo di chi sa di abitare un mondo nuovo. È la speranza di una nuova civiltà, che non si imponga, ma si componga: la civiltà del convivere tra tanti universi culturali, politici e religiosi.
Bene, ma cosa c’entra tutto questo con la paideia, la politeia, i Padri? Lo spiega bene l’autore quando ci dice che è necessario, nel nostro mondo globalizzato, in questo tempo “liquido”, «ristabilire e rinforzare il rapporto tra individuo/persona e comunità». Facendo perno sull’educazione. E sapendo che «conservare e trasmettere la memoria di una comunità sono funzioni politiche E…] nel suo significato originario».
Il filo rosso della trattazione è qui, nella relazione biunivoca che si stabilisce tra l’educazione del singolo e la gestione della collettività; mentre il suo orizzonte diacronico sta nell’assorbimento e nella trasformazione dei concetti classici alla luce del nascente pensiero cristiano. E lungo questo percorso, al culmine di esso, che spicca la figura di Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli nel IV secolo, padre della Chiesa, uomo di profonda cultura teologica e spirituale. È noto come Crisostomo non disdegnasse – anche con esiti per lui negativi (l’esilio) l’intromissione nella sfera politica. Il suo pensiero è dunque il punto d’arrivo di un itinerario che credeva di trarre il meglio dal tesoro antico della pedagogia e della sociologia classiche per dargli una sanzione apparentemente, in quel dato momento storico, definitiva. Incontrando l’impero cristiano, all’inizio dell’era costantiniana della Chiesa, paideia e politeia sembrano allora sostenersi l’un l’altra, delineando un ideale che si fa modello. La paideia cristiana si rivela figlia e coronamento di quella antica. La politeia illuminata dalla Parola di Dio si libera delle scorie pagane per disegnare l’ideale di una comunità concorde e operosa come quella delle api nell’alveare, «comunità viva e pacifica». Tale politeia – conclude l’Autore – non riguarda solo il “politico”, dunque, bensì ogni individuo che forma la collettività. E dice qualcosa all’uomo e alla donna del nostro oggi.
Ciascuno è chiamato a sganciarsi dalla «liquidità» del tempo che viviamo per costruire in maniera responsabile e solidale quella «città di tutti» che è un determinato Paese, ma anche l’intero pianeta. Il mondo globalizzato e bisognoso di cura del post-pandemia non merita di essere abitato da mille monadi autoreferenziali, bensì da una fraternità – Fratelli tutti! – che coltivi una gestione umana e comune delle cose. L’Individuo va costruito come tale, certamente, ma perché la sua educazione, la sua instruzione, siano dono di responsabilità per l’insieme della famiglia umana.
Nel libro di Gian Franco Saba si può leggere una prospettiva insieme umana, civile, pastorale, che si muove nel solco del cammino che la Chiesa di papa Francesco sta compiendo, – Chiesa “in uscita”, Chiesa che costruisce ponti -, ma anche dell’itinerario che la navicella di Pietro percorre da secoli, proponendo all’ecumene una “globalizzazione dell’amore”, realizzando o tentando di realizzare nel vissuto concreto degli uomini e delle donne di ogni angolo che è sotto il cielo quel che uno storico inglese, John Bossy, ha chiamato «il miracolo sociale».
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