Che cosa si tace sull’eutanasia. Ambiguità e silenzi del referendum

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«Per impedire che siano altri a decidere per noi. Per essere liberi, fino alla fine», si legge sul sito del comitato promotore del referendum per l’«eutanasia legale». C’è molta ambiguità in questo richiamo a una libertà individuale che arriva fino al punto di decidere della propria morte, seppure in condizioni particolari. Nel tempo della pandemia, in cui la morte è purtroppo tornata prepotentemente a farsi sentire, si è lottato – spesso allo stremo – per tenere in vita le persone e si è sovente ripetuto che non ci si salva da soli e che non si può fare il triage delle vite, per esempio in base all’età.

Salvarsi insieme sta diventando una visione comune e diffusa. La campagna vaccinale ne è un esempio. Così come la presa di coscienza di molti cittadini sui temi ambientali, al pari di quelli sociali e della salute. Tutti aspiriamo alla libertà e a una libertà per tutti. Nelle parole d’ordine dei referendari c’è poi un’ambiguità evidenziata da Giovanni Maria Flick su ‘Avvenire’: il cuore del quesito referendario non è una decisione da prendere per sé stessi, bensì in relazione alla riformulazione dell’omicidio del consenziente. Il paradosso, argomenta Flick, è che «chi uccidesse un maggiorenne e cosciente di sé che glielo chiede, anche in buona salute, non rischierebbe il carcere».

Sarebbe questa la buona morte? Farsi uccidere è una battaglia di libertà? La conclusione del giurista è che si sta creando confusione: «Attraverso leggi penali non si vuole più dare certezza ai cittadini, ma far valere una specifica visione della vita». Ecco il punto: una visione della vita che è di parte e che non si vuole confrontare nei luoghi deputati (come il parlamento) ma che usa i referendum sulla giustizia. Il comitato referendario non dice ciò che i giudici costituzionali hanno già affermato (sentenza 242/19): il reato di aiuto al suicidio non si applica quando a richiedere di morire sia «persona affetta da patologia irreversibile, e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, e sia inoltre tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti capace di prendere decisioni libere e consapevoli». Lo stesso comitato referendario omette di dire che alla Camera dei deputati è in discussione in commissione un ddl sul suicidio assistito, che dovrà necessariamente recepire la sentenza di cui sopra. Tutte queste omissioni rivelano il vero intento: inseguire un facile consenso basato sul principio emotivo di autodeterminazione, senza approfondire. Tuttavia un esito ottenuto per via populista rischia di darci una legge incoerente, finendo per minacciare il diritto alla vita dei più fragili. Sembra che ciò che davvero conti per i referendari è affermare che «le persone sono più avanti rispetto alla politica». Chiediamo: avanti verso dove? In Belgio e in Olanda dove l’eutanasia è legge da un paio di decenni, si è talmente ‘avanti’ nell’applicazione del protocollo sui bambini che nemmeno tale dramma fa più notizia.

Dall’esaltazione della volontà del maggiorenne, monade ferita ma capace di prendere in mano la propria fine, si è passati alla valutazione delle possibilità del singolo di vivere «una vita degna di essere vissuta» (ricordo sommessamente che tale espressione è purtroppo di origine nazista). Su tale questione sappiamo che non c’è accordo generale e quindi andrebbe discussa molto più approfonditamente.

A distanza di alcuni anni dall’introduzione dell’eutanasia, il parlamento olandese e belga trattano dell’estensione dell’eutanasia ai malati di mente o a quelli in terapia intensiva, riservando la decisione ai medici. Lo slogan «per essere liberi, fino alla fine» nasconde tale evoluzione? La battaglia è divenuta tutta ideologica. Se l’obiettivo dell’euta- nasia è salvaguardare la propria dignità e alleviare la sofferenza, esistono già – sempre migliorabili e da rendere nei fatti universali – l’interruzione dei trattamenti e il ricorso alle cure palliative. Se invece il punto è insistere sulla libertà individuale, allora il rischio di abusi e derive è altissimo.

D’altra parte sappiamo che tale libertà viene alla fin fine ceduta agli specialisti, e saranno loro a decidere per noi. La delicatezza dei temi legati alla malattia, alla debolezza, alla vecchiaia deve rendere saggi e prudenti: stupisce e rattrista l’eccitazione populista per quello che è comunque un epilogo di morte. Meglio darsi il tempo necessario alla riflessione e al dibattito. Tanto più nel pieno di una pandemia che ha mietuto vittime a centinaia di migliaia. Il virus ha già fatto strage: questo è il momento di far trionfare la vita e di non rassegnarsi alla morte.

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