L’esperienza dei canali attivati grazie all’impegno della Chiesa, delle associazioni e delle istituzioni nelle aree a rischio ci dice che una risposta degna a chi fugge dai conflitti è possibile
I volti dei 71 rifugiati giunti mercoledì a Fiumicino dalla Libia con i corridoi umanitari sono diversi da coloro arrivati in questi anni dal Libano, dall’Africa o dal Pakistan: pieni di gioia come tutti gli altri, ma segnati da un’acuta sofferenza in più. La Libia è un luogo atroce dove le vite dei profughi sono appese a un filo: alla volontà di un capo milizia o di uno qualunque dei loro aguzzini, come spesso documentato anche da Avvenire. Sono trattati come merce di scambio su cui guadagnare: vengono picchiati, torturati davanti ai cellulari per estorcere denaro ai loro parenti. Ci si rallegra che questa evacuazione dalla Libia non sia la prima negli ultimi due anni: soprattutto donne e bambini, coloro che soffrono di più, vittime di violenze indicibili. Con la fattiva collaborazione dei Ministeri dell’Interno e degli Esteri e dell’Unhcr si è aperta la via per questi speciali corridoi definiti “evacuazioni umanitarie”, sotto la responsabilità di Sant’Egidio e altre organizzazioni. I corridoi umanitari, nati da un’intuizione di Sant’Egidio a fine 2015, sono operativi dal 2016 e hanno già portato in Italia e in altri Paesi europei oltre diecimila rifugiati, in sinergia con la Federazione delle Chiese evangeliche, la Chiesa Valdese, la Cei attraverso la Caritas e negli ultimi anni anche l’Arci. Si tratta soprattutto di siriani, eritrei, somali, sudanesi e afghani, costretti a lasciare i loro Paesi a causa delle guerre che li hanno travolti. La Siria è stata in conflitto dal 2011 e oggi è sulla via di una difficile rinascita anche a causa degli scontri in atto nella regione (Libano, Gaza, Iran…) e della difficile ricostruzione della convivenza tra popolazioni e religioni diverse. Recentemente, l’attacco terroristico alla chiesa di Sant’Elias a Damasco ha provocato oltre venti morti in una comunità cristiana già ridotta di numero. Poi c’è l’Afghanistan abbandonato a sé stesso e da cui moltissimi continuano a fuggire, spesso via Pakistan o Iran dove il conflitto attuale li ha intrappolati. Moltissime le richieste che giungono a Sant’Egidio e agli altri promotori per salvare vite in pericolo. Ci si chiede quale sia il futuro di queste terre così martoriate e piegate sotto i colpi di una violenza che non sembra terminare. Un popolo dolente, alla ricerca di un rifugio, chiede accoglienza e integrazione nelle nostre società europee. Un discorso a parte meritano i palestinesi che escono con il contagocce da Gaza per essere ricoverati negli ospedali italiani perché in genere feriti, o comunque accolti per le loro drammatiche condizioni. L’Italia è il Paese occidentale che ne ospita di più, circa un migliaio, grazie al paziente negoziato del Ministero degli Esteri con le autorità israeliane. I corridoi umanitari sono una risposta alle guerre che colpiscono i popoli aumentando enormemente il numero dei profughi e dei rifugiati.
Una risposta legale e sicura per tutti – per chi fugge e per chi accoglie –, con un processo di integrazione garantito all’origine. Si tratta dunque di una risposta pacifica in un mondo violento, una resistenza concreta ai due mali della guerra e dell’inaccoglienza che, intrecciati fra loro, producono drammi umani e sociali incalcolabili. I corridoi dimostrano invece che tutto è possibile: è possibile essere accolti senza spaventare nessuno; è possibile trovare una nuova casa; è possibile trovare rifugio dalla guerra ed è possibile integrarsi senza sconvolgere nessuno ma salvando vite. I corridoi sono pezzi di pace in un mondo di guerre, quella risposta “disarmata e disarmante” di cui ha parlato papa Leone. Un modo umano e intelligente per reagire concretamente al male con il bene. Questo progetto, nato dalla società civile e dalla collaborazione tra comunità, Chiese e istituzioni, ha tenuto viva nella coscienza collettiva una sensibilità solidale e accogliente, ma ha anche liberato tante energie positive. Bisogna ripartire da qui per dare una risposta più umana a chi è in cerca di un futuro migliore. È anche una risposta economicamente conveniente per chi accoglie, che ha solo da guadagnare dalla capacità di resilienza e dalla voglia di ricominciare di chi è accolto.
Una risposta legale e sicura per tutti – per chi fugge e per chi accoglie –, con un processo di integrazione garantito all’origine. Si tratta dunque di una risposta pacifica in un mondo violento, una resistenza concreta ai due mali della guerra e dell’inaccoglienza che, intrecciati fra loro, producono drammi umani e sociali incalcolabili. I corridoi dimostrano invece che tutto è possibile: è possibile essere accolti senza spaventare nessuno; è possibile trovare una nuova casa; è possibile trovare rifugio dalla guerra ed è possibile integrarsi senza sconvolgere nessuno ma salvando vite. I corridoi sono pezzi di pace in un mondo di guerre, quella risposta “disarmata e disarmante” di cui ha parlato papa Leone. Un modo umano e intelligente per reagire concretamente al male con il bene. Questo progetto, nato dalla società civile e dalla collaborazione tra comunità, Chiese e istituzioni, ha tenuto viva nella coscienza collettiva una sensibilità solidale e accogliente, ma ha anche liberato tante energie positive. Bisogna ripartire da qui per dare una risposta più umana a chi è in cerca di un futuro migliore. È anche una risposta economicamente conveniente per chi accoglie, che ha solo da guadagnare dalla capacità di resilienza e dalla voglia di ricominciare di chi è accolto.
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