Il nuovo disordine mondiale è in aumento. Da tempo il pianeta è senza un centro, gli spazi di collaborazione diminuiscono e il futuro resta incerto. Alla vecchia centralità europea e al più recente scontro bipolare capitalismo-comunismo, non si è sostituito alcun quadro di riferimento comune. Si è persa la grande occasione del 1989, quando non ci si è voluti incamminare verso un mondo più unito e si sono scelti prima l’arroganza unipolare e poi lo scontro di civiltà. Così si è sprecata la pace.
Il risultato è stato il succedersi di tanti conflitti — «la terza guerra mondiale a pezzi» —, fino al disastro sotto gli occhi di tutti in Ucraina, dove si scontrano la maggiore potenza nucleare e — per interposto popolo — la più vasta alleanza militare del globo. Se si riuscirà a evitare un’escalation devastante, questa guerra lascerà comunque conseguenze tragiche e nulla tornerà come prima.
Si parla già di “deglobalizzazione” e di “nuova guerra fredda”. Il grado di interdipendenza assunto dall’economia planetaria è ora percepito come una minaccia: il clima di crescente ostilità e la guerra provocano l’idea che dipendere dagli altri è sempre un rischio. Così il mondo si sta rapidamente dividendo. Il confronto bipolare nella seconda metà del XX secolo era aspro ma basato su regole e linee rosse che ufficialmente non venivano superate: convivevano cordoni sanitari (il muro di Berlino, per esempio, ma anche tanti altri muri…) con relazioni formali e diplomatiche, culturali, sportive tra i blocchi, consacrate dalla frequentazione alle Nazioni Unite. All’interno di ogni sfera d’influenza era chiaro come muoversi e fino a dove.
Oggi il confronto appare altrettanto aspro, ma la cornice di regole ancora non c’è e deve essere ricostruita. Convivono allo stesso tempo zone di frizione e di assenza di regole, ciò che creano pericolosi spazi vuoti e fuori controllo. Molte potenze medie si sentono autorizzate a manovrare liberamente secondo uno schema a geometria variabile, occupando aree lasciate libere dai grandi interessi geopolitici. Gli attori globali si sono moltiplicati: non più solo gli Stati, ma anche le imprese transnazionali o le reti criminali globali. Alla «guerra mondiale a pezzi» potrebbe seguire una «guerra fredda a pezzi».
Così come a livello sociale si sono degradate le reti che tenevano insieme gli individui e davano loro un contesto di riferimento e un orientamento, anche a livello globale sono scomparsi i quadri di riferimento di ieri, a iniziare dall’eredità unitiva dei vincitori della Seconda guerra mondiale. La prova dello sgretolamento del multilateralismo è nella crisi delle Nazioni Unite, sempre meno incisive e meno frequentate, anche se rimangono l’unica “piazza globale” di incontro tra le nazioni. La tragedia del nostro tempo è in questo essere “a pezzi”, sia in guerra che in pace.
La solitudine e il narcisismo non sono più malattie soltanto del singolo, ma si elevano su scala nazionale, divengono sovranismo e autoreferenzialità identitaria, trasformando la politica in personalismo dei leader ed esagerata dipendenza dalla comunicazione e dal consenso. La paura indotta dalla guerra e dalla pandemia crea onde irrazionali ed emotive nelle società e tra gli elettori senza che i governanti — almeno nelle democrazie — riescano ad articolare un nuovo discorso di visione del futuro. Ancor più grave è che tutto ciò si prepari in un quadro di crescente abbandono delle preoccupazioni ambientali e demografiche, che la guerra attuale ha relegato nel novero delle ingenue buone intenzioni.
Il paradosso è che mentre la realtà ci dovrebbe spingere verso la cooperazione e il “fare insieme”, le emozioni manipolate da leader senza scrupoli trasformano il tempo presente in chiusura e frammentazioni, in occasione per calcoli egoistici. La situazione reale del nostro mondo ci spingerebbe invece a essere uno, e non “a pezzi”. È il percorso che il Papa propone da tempo, quello della Laudato si’ e di Fratelli tutti, proprio mentre si rivela sempre più chiaramente l’abisso verso cui si incammina un’umanità “a pezzi” su un pianeta in difficoltà.
La vera novità del nostro tempo è che, mentre il mondo si divide, le religioni si parlano e tentano il percorso inverso, una accanto all’altra, ripartendo da ciò che unisce e non da ciò che divide. Il Papa lo ha manifestato in molte occasioni, in viaggi e incontri, come quello con l’islam, che ha dato vita al Documento sulla Fratellanza umana, indicando – assieme al grande imam al Tayyeb – una strada che oggi appare sempre più decisiva per tutti. Lo sforzo unitivo delle religioni è una strada da percorrere con audacia in un mondo “a pezzi”.
Se anche questi temi entrassero responsabilmente nella campagna elettorale per il prossimo Parlamento italiano, persino la crisi confusa e irosa che ha portato alla fine anticipata di governo e legislatura potrebbe contribuire, come ha auspicato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, a «rafforzare il senso di una comunità di destino e la passione per rendere il nostro Paese e il mondo migliori».
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