L’intervista. Impagliazzo (Comunità Sant’Egidio): «Due gli atti più qualificanti del pontificato di Bergoglio la visita a Lampedusa, terra di naufragi, e il Momento straordinario di preghiera, da solo, durante il Covid»
Due sono i momenti più qualificanti del pontificato di Papa Francesco, per Marco Impagliazzo, storico e presidente della Comunità di Sant’Egidio. La visita a Lampedusa, terra di naufragi, e il Momento straordinario di preghiera durante il Covid. Due grandi «atti», di un Papa «maestro di fraternità e pace», che hanno dato forma e sostanza ai suoi messaggi: una Chiesa in uscita che rimetta al centro il povero e la convinzione che «nessuno si salva da solo».
Eppure, portare avanti questi richiami «rivoluzionari», secondo Impagliazzo, «è una fatica di Sisifo, in una Chiesa che proprio perché cattolica, è universale, ha tanta frammentazione al suo interno e non mancano vere e proprie resistenze, osteggiamenti». Per questo, dice, la sfida per Francesco ora è, ancora di più, l’unitarietà della Chiesa in un mondo sempre più «de-globalizzato, dove la tendenza attuale è piuttosto di andare ognuno per sé».
Tornando indietro a dieci anni fa, quali speranze aveva acceso nella Chiesa la comparsa del nuovo Papa? «La parola-chiave di quel giorno – spiega Impagliazzo -, è sorpresa. Quel suo porgersi umano, vicino, quel “buonasera”, la richiesta di benedizione. Il punto è porta- novità, cambiare il linguaggio, benedizione, il solo vestito re i poveri al centro, dalla peri- è un processo che oggi solo vestito bianco senza stola, la semplificazione dei segni, ma soprattutto il nome, Francesco, una promessa e insieme una rottura con la tradizione».
Quale è stato secondo lei l’atto più qualificante del pontificato?
«Direi che sono due. Il primo, il fatto di non viaggiare come prima cosa in un santuario o in una capitale nota ma scegliere la “frontiera” di Lampedusa. Già lì ci ha spiegato che il pontificato sarebbe stato molto sensibile verso i migranti. E poi la preghiera straordinaria, da solo, in Piazza San Pietro, durante il Covid. Ho visto questo Papa prendere per mano il mondo, volerlo guidare a una riflessione sia rispetto a ciò che abbiamo sbagliato, da cui scaturisce il tema dell’ecologia integrale; sia il messaggio che ci si salva solo insieme. La grande risposta che il Papa sta dando è che la Chiesa vuole essere in dialogo con tutti ed è necessario il contributo di tutti».
In questi dieci anni quali sono i semi lasciati da Francesco nel mondo e nella società italiana?
«La centralità del povero nella vita della Chiesa, ma non tanto una Chiesa per i poveri ma i poveri al cuore della Chiesa, non come assistiti destinatari di servizi. Il punto è portare i poveri al centro,dalla periferia si capisce il centro. In questo ha voluto rimettere la Chiesa italiana su un binario più evangelico, l’ha spronata a superare certe gerarchie come le gerarchie tra i principi. Non esistono principi negoziabili e non negoziabili, questa è stata anche un po’ l’impasse della Chiesa per un certo tempo».
Ma il suo messaggio è recepito o genera anche contrasti se non veri rifiuti?
«È uno sforzo di Sisifo, quella della Chiesa in uscita è una grande rivoluzione, specie nel tempo in cui la Chiesa s’è indebolita, ha vissuto tante crisi. Chiederle la conversione del documento Evangelii gaudium ha trovato moltissime resistenze perché spesso si è più abituati a ricevere persone più che ad andare loro incontro. Questa è stata la grande fatica e l’incomprensione del pontificato come poi ha detto lui stesso nel famoso di Convegno di Firenze quando ai vescovi ha chiesto, la volete prendere sul serio o no?».
Sul fronte interno, in particolare quello delle riforme, Francesco è riuscito a imprimere un volto nuovo alla Chiesa e alla Curia?
«Il cammino, il processo è soltanto all`inizio, la prima grande riforma è accogliere le novità, cambiare il linguaggio, è un processo che oggi si scontra con il grande problema della frammentazione di questo mondo, la sfida per il Papa sarà proprio quella di mantenere l’unità e non lasciare che la Chiesa stessa si frammenti in tante Chiese locali perdendo la sua cattolicità».
Ci sono anche critici che dicono che proprio Francesco sia responsabile di una divisione tra i cattolici, in particolare tra quelli più sensibili ai temi sociali e quelli più attaccati alla dottrina.
«La Chiesa è un’istituzione molto particolare, è una realtà internazionale, il Papa sconta la fatica di tenere tutti insieme, è una fatica immensa, siamo nel tempo della de-globalizzazione, nessuno crede in realtà che ci si salva insieme, ognuno va per conto suo come vediamo anche nella fatica di vivere insieme come europei. La Chiesa fatica anche nella sua essenza cattolica, ma oltre a questo c’è un problema più politico, interno, dei critici del Papa, di chi pensa che lui non viva nella tradizione, che è una emerita sciocchezza. Francesco ha un suo modo innovativo ma governa nel solco profondo della Chiesa: mettere in discussione il papato a partire da questo è una follia totale che fa pendant con l’individualismo che scontiamo».
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