Francesco tiene accesa la speranza. La visita di Zelensky a Roma

Papa Francesco

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“Invito tutti ad aprire rapporti, canali di amicizia”. Questo è lo spirito con cui papa Francesco ha incontrato il presidente ucraino Zelensky. Canali aperti è l`idea del papa perché una cosa è certa: si dovrà tornare a parlare e quindi sarebbe meglio farlo il prima possibile.
A chi critica tale posizione come troppo equidistante, il papa reagisce parlando di imparzialità attiva: lui si è rivolto spesso al «martoriato popolo ucraino» e al «popolo russo» non mettendoli mai sullo stesso piano. Ciò che preme al papa è trovare una soluzione: fin dall`inizio della guerra Francesco ha fatto capire che le armi non avrebbero aiutato a risolvere la crisi. Ma nel frattempo c`è la «necessità urgente di gesti di urnanità nei confronti delle persone più fragili, vittime innocenti del conflitto», come comunicato dalla Santa Sede dopo l`incontro durato quaranta minuti.
La guerra in Ucraina rende il mondo peggiore e non aiuta, ma anzi allarga il fossato di odio che occorrerà colmare. L`invito a cercare canali di dialogo è rivolto a tutti, come diceva anche Giovanni Paolo: «La pace è un cantiere aperto a tutti». È da più di un secolo che i papi assumono una posizione imparziale davanti ai conflitti: condannare, criticare potrà soddisfare qualcuno, ma priva il papa della possibilità di mediare. Benedetto XV si fece criticare dai cattolici austriaci e francesi, in guerra fra loro, perché invocava la pace davanti all`«inutile strage» della prima guerra mondiale. Per la Chiesa cattolica la guerra è sempre fratricida; papa Francesco aggiunge il termine «sacrilega» perché rende il mondo un posto pieno «di tombe e non di culle».
Il papa non condanna ma cerca canali aperti per ricostruire quel convivere a cui siamo tutti destinati: ciò che conta oggi è far tacere le armi che peggiorano la situazione e sostenere ogni sforzo umanitario possibile per alleviare la sofferenza degli ucraini. L`iniziativa annunciata da Francesco, ancora confidenziale, è quella di aprire un dialogo che guardi oltre. Il papa non si arrende né all`ineluttabilità della guerra, né alle posizioni polarizzate.
La grande saggezza della Chiesa davanti ai conflitti viene dall`esperienza e dal mettere la persona al centro delle preoccupazioni: abbiamo davanti agli occhi i risultati delle guerre e di quanto sia poi difficile non solo farle terminare, ma anche riconciliarsi per vivere di nuovo assieme. È ciò a cui mirano le democrazie: non limitarsi a vincere ma pensare al domani. Ciò che caratterizza le democrazie, differenziandole dai regimi autoritari, è proprio questo: la democrazia non insegue la vittoria (sempre effimera o provvisoria) ma guarda a come si può vivere (o rivivere) assieme, a come si ricostruisce un`architettura di sicurezza che permetta di evitare nuove guerre.
C`è chi sostiene che senza una vittoria non ci sarà mai pace e che gli strumenti diplomatici servirebbero solo a rimandare la reiterazione dell`aggressione. Ma in realtà la solitudine del papa nel chiedere la pace mostra che ancora troppo poco gli strumenti della diplomazia sono stati utilizzati e che il cantiere della pace è ancora abbandonato. Forse anche per questo Francesco ha regalato al presidente ucraino un ramoscello d`ulivo simbolo di pace.
Dal febbraio 2022 la Chiesa è stata molto attiva dal punto di vista umanitario: favorire lo scambio di prigionieri di guerra, aiuti umanitari di ogni tipo (un esempio per tutti l`ingente volume di aiuti inviato in questi 15 mesi dalla Comunità di Sant`Egidio) e l`impegno di riportare a casa i bambini sequestrati in Russia. Allo stesso tempo la Chiesa fa il suo mestiere: cerca la via per una riconciliazione che le pare essere la sola e vera strada del futuro.

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