“Popoli fratelli, terra futura. Religioni e culture a confronto”. Due temi sono stati al cuore dell’incontro interreligioso promosso a Roma, il 6 e 7 ottobre scorso, dalla Comunità di Sant’Egidio in quello “Spirito di Assisi” nato per iniziativa di Giovanni Paolo II nella città di san Francesco nel 1986: la fraternità universale, (siamo a un anno dall’Enciclica Fratelli tutti), e terra futura, cioè la cura dell’ambiente, urgenza a livello mondiale e a tema della prossima COP 26 di Glasgow.
Alla presenza del Papa e dei rappresentanti delle grandi religioni si sono esplorate le strade per un futuro in cui fraternità umana e cura del creato stiano insieme. Nella due giorni romana è emerso con chiarezza il bisogno di ricominciare su nuove basi per non sprecare l’occasione di questa crisi mondiale, perché diventi un nuovo inizio e non una storia di degrado o peggio ci separi gli uni dagli altri. I rappresentanti delle religioni, insieme a personalità del mondo della cultura, della politica e di moltissimi giovani, hanno manifestato l’auspicio di dover ricominciare insieme. L’oggi va vissuto con una più chiara coscienza dell’unità e dell’interdipendenza di tutti, adoperandosi per ricucire la trama lacerata delle società in tante situazioni. Le religioni possono essere parte attiva di un processo inclusivo, all’interno del quale culture e credi diversi convivano pacificamente, nel rispetto delle relative identità e differenze. Di fronte a un virus che ha colpito la socialità dei popoli e dei singoli si è cercato di rispondere con un contagio uguale e contrario, coltivando il senso di una reale comunanza di destino.
A Roma si è guardato al futuro a partire da una domanda: come porre le basi per un mondo nuovo mentre abbiamo addosso ancora le ferite provocate dalla pandemia? Ci sono ferite gravi, profonde che non hanno risparmiato nessun popolo e nessuna nazione: l’altissimo numero dei morti (specie di persone anziane), il grande numero di persone senza lavoro, bambini e giovani senza la scuola, una crisi sociale diffusa. Ci si è messi di fronte a queste ferite che toccano il corpo dell’umanità intera con la responsabilità di dare una risposta che aiuti il mondo a curare queste ferite. Il punto di partenza sono state le parole di papa Francesco: “nessuno si salva da solo”. Se questo è vero, ci si è chiesti, com’è possibile ricominciare insieme?
Innanzitutto camminando insieme. Non a partire da questione dottrinali o dogmatiche, ma più semplicemente dalle domande sul futuro: quello del mondo e dei giovani. Niccolò Cusano, grande umanista, parlava dell’incontro delle personalità religiose come di un “concilio in cielo”.
Di fronte a emergenze sociali e umane rilevanti le religioni a Roma hanno espresso la volontà di non chiudersi nei loro mondi in maniera autoreferenziale. Tutt’altro. Il cammino dello Spirito di Assisi, d’altronde, lo ha mostrato negli anni: ricordo il grande contributo alla pace come in Mozambico di 29 anni fa e in altri luoghi. Il camminare insieme delle diverse fedi religiose è uno dei grandi fatti nella vita del mondo: la simpatia nata tra le religioni durante il pellegrinaggio, che da Assisi ha toccato a Roma la sua trentacinquesima tappa, rappresenta una novità unica nella storia.
Ma il cuore dell’evento è stato il momento di preghiera per la pace che ogni religione ha vissuto secondo la sua tradizione nell’area del Colosseo. La preghiera è alla radice della pace e i cristiani lo hanno espresso nella preghiera ecumenica presieduta da Papa Francesco, alla presenza del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo I, di quello armeno Karekine II e dei rappresentanti delle Chiese cristiane ortodosse e di quelle evangeliche. Dopo il tempo di preghiera si è svolta la cerimonia finale in cui hanno preso la parola Andrea Riccardi e Angela Merkel. “Di fronte a un mondo che deve rinnovarsi – ha notato il fondatore di Sant’Egidio – si manifestano visioni limitate e un diffuso senso d’impotenza. Che genera indifferenza. Invece le Religioni richiamano al fatto che il comportamento di ciascuno non è irrilevante per la salvezza propria e altrui, e della terra”. Infatti “siamo all’appuntamento di un mondo nuovo, decisi a costruirlo con tutti, a partire dai giovani e dai poveri”. Per la Cancelliera tedesca “senza il rispetto dell’altro e di chi la pensa diversamente o che ha un’altra fede, non possiamo vivere in pace…dobbiamo mantenere lo sguardo verso la miseria delle persone che vivono in mezzo ai conflitti, al loro diritto ad una vita dignitosa perché la sofferenza umana non viene relativizzata dalla distanza geografica”. Subito dopo sono intervenuti il grande imam dell’università di Al Ahzar (Il Cairo), Al Tayyeb, e il presidente dei rabbini europei Goldschmidt.
Papa Francesco, nell’intervento conclusivo, ha insistito sulla necessità che i “popoli fratelli e le religioni sorelle” riprendano a “sognare la pace” per un mondo in cui prevalga il disarmo reale e quello dei cuori: “Con la vita dei popoli e dei bambini non si può giocare. Non si può restare indifferenti. Occorre, al contrario, entrare in empatia e riconoscere la comune umanità a cui apparteniamo, con le sue fatiche, le sue lotte e le sue fragilità. Pensare: ‘Tutto questo mi tocca, sarebbe potuto accadere anche qui, anche a me’. E ancora: “Meno armi e più cibo, più vaccini e meno fucili”.
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