Papa Francesco, com’è noto, vuole molto bene agli anziani. E tiene molto, anche per motivi squisitamente biografici, al dialogo tra le generazioni. Sa bene che il futuro si costruisce quando giovani (anche giovanissimi) e vecchi si parlano, si stimano, si attraggono reciprocamente.
Ma è abbastanza per farne uno dei cardini del messaggio per la Giornata mondiale della pace 2022?
Siamo giunti alla 55/a edizione di una ricorrenza voluta, il 1° gennaio del 1968, da Paolo VI: allora il mondo era diviso in due, era il tempo della guerra fredda e la minaccia nucleare era molto forte. Il Papa volle riportare il tema della pace al centro dell’attenzione. Da allora la Chiesa cattolica propone il 1 gennaio come giornata della pace. Come a dire: si inizi l’anno con il passo della pace.
Il riferimento di Francesco al dialogo tra le generazioni per edificare la pace ha anche a che fare con la testimonianza degli anziani che hanno vissuto in prima persona la guerra mondiale, con il carico di sofferenze e distruzioni (e la fatica di una lunga ricostruzione), testimonianza molto preziosa per chi non c’era. Il dialogo tra le generazioni è un solido fondamento di pace, perché, come scrive il Papa nel messaggio, è «dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani». Se si interrompe, si rischia di precipitare nel caos e nella violenza.
Ed è tanto più vero in un tempo di segregazione imposta, quando «alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro», cioè quando si spezza il circuito vitale delle comunicazioni e degli affetti.
Ma il dialogo tra generazioni, oltre che in famiglia, comincia a strutturarsi nella scuola. Ecco perché, per il Papa, il secondo pilastro per edificare la pace duratura è l’educazione. La grammatica del dialogo si apprende a scuola. Tutti quanti ne abbiamo fatto esperienza fin dai primi anni della nostra vita, nella trasmissione e ricezione verticale del sapere, ma anche nell’abilità “maieutica” di far maturare empaticamente personalità e talenti.
Dialogo tra generazioni, ieri e sempre, ma anche dialogo tra culture, specialmente oggi: con la globalizzazione e l’affermazione di una “multiculturalità della vita quotidiana”, la scuola, che ne è lo specchio, diviene strumento primario di educazione alla pace e alla convivenza.
E poi, terzo elemento della triade, il lavoro «fattore indispensabile per costruire e preservare la pace» Importante sottolineare questo aspetto perché, con l’avanzare della «società dei singoli», l’attività lavorativa ha perso la caratteristica di sforzo collettivo, dove si condividono fatica, sudore, ma anche impegno, gioia, traguardi. Oggi si lavora prevalentemente da soli, davanti a uno schermo. L’economia informale, la rilevanza dei contratti atipici e, da ultimo, la pandemia (con l’affermazione dello smart working), hanno accentuato questa tendenza: giovani e anziani condividono sempre meno gli stessi spazi. Così parcellizzato, è lo stesso lavoro ad essere svalutato. Dagli Stati Uniti si diffonde il fenomeno della great resignation, migliaia di lavoratori che escono definitivamente dal mercato per stanchezza, noia, disillusione: meglio vivere – o sopravvivere – con un po` di sussidi.
Papa Francesco in questi anni ha sempre ricordato che il lavoro è soprattutto esercizio della dignità e della creatività umana: l’uomo che con i suoi talenti prolunga l’opera divina della creazione. Ed è sempre, come scrive nel messaggio, «espressione di sé e dei propri doni, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno». E dunque, «è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello».
Al termine dell’incontro interreligioso di Assisi del 1986, Giovanni Paolo II usò un termine, vorrei dire “operaio” per definire il “lavoro” della pace: è un cantiere – disse – aperto a tutti. E’ ora che anche quel cantiere riapra. E in fretta.
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