I corridoi umanitari: il frutto di una società civile

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Si parla in questi giorni dei ripetuti sbarchi di migranti a Lampedusa e se ne parlerà probabilmente per tutta l’estate, cioè nel periodo dell’anno in cui le condizioni del mare permettono normalmente ai barconi di raggiungere le coste italiane ed europee. Lo stesso mare che invece in altre stagioni è purtroppo causa di morte per i troppi, drammatici, naufragi, come quello di poche settimane fa, che ha provocato oltre cento vittime al largo della Libia. Nuovamente le autorità italiane ed europee si chiedono come affrontare il fenomeno ma, pur sapendo che si tratta di un tema molto complesso, con aspetti epocali, hanno spesso il fiato corto, sollecitate a prendere provvedimenti sull’onda di proteste emozionali e strumentalizzazioni politiche.

Di fronte a questo scenario occorrerebbe fissare alcune priorità. Bisogna garantire prima di tutto il salvataggio delle vite umane in pericolo ricordandoci che si tratta di persone con storie di sofferenza alle spalle, fatte di violenza e sfruttamento subiti nel corso di lunghi e drammatici viaggi, fin dalla partenza dal paese di origine. In secondo luogo è necessario aprire con urgenza alcune vie di ingresso legale in un continente come l’Europa e in Paesi, come l’Italia, che stanno peraltro vivendo un drammatico inverno demografico. I corridoi umanitari rappresentano una di queste vie, ormai collaudata e sperimentata nel corso di oltre cinque anni, dal febbraio del 2016: un programma che non si è arrestato neanche durante la pandemia (solo rallentato) e che ha permesso di far giungere fino ad oggi in sicurezza 3537 persone in Europa, di cui 2861 in Italia, il resto in Francia, Belgio e Andorra.

Il motivo di questo successo, totalmente autofinanziato e garantito attraverso accordi con gli Stati sta nella formula adottata. Portati avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, di volta in volta con partner diversi, dalle Chiese protestanti alla CEI, con la collaborazione essenziale di soggetti come la Comunità Papa Giovanni XXIII e il progetto Operazione Colomba, i corridoi umanitari dimostrano che è possibile coniugare felicemente l’accoglienza con l’integrazione centrando con un solo progetto diversi obiettivi. L’arrivo in aereo sottrae infatti i migranti – che provengono per lo più da paesi in guerra, come i siriani presenti in Libano o eritrei, somali e sud sudanesi rifugiati in Etiopia – dai rischiosissimi viaggi nei barconi e quindi dai trafficanti di esseri umani.

Ma fa di più con un’accoglienza che in Italia, come negli altri paesi europei, prevede un preciso percorso di integrazione fatto di apprendimento della lingua, di scuola per i minori e di avviamento al lavoro. Tutto ciò grazie ad un’ospitalità diffusa nel territorio, studiata e preparata prima dell’arrivo nei minimi dettagli. I corridoi umanitari sono infatti il frutto di una società civile che ha capito una lezione fondamentale più volte ripetuta in questi ultimi mesi anche da Papa Francesco, cioè che “nessuno si salva da solo” e l’ha messa in pratica costituendo, alla luce della situazione che viviamo, anche un ottimo segnale di ripartenza per l’Italia e per l’Europa, ma soprattutto rappresentare una vera e propria salvezza di vite umane.

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