La notte di Natale papa Francesco ha aperto la porta santa della Basilica di San Pietro, dando così avvio al Giubileo del 2025 che ha come tema “la speranza non delude”. L’evento spirituale e di popolo, che cade ordinariamente ogni 25 anni, si colloca in un tempo di inquietudine e preoccupazione, ben diverso dal 2000 quando Giovanni Paolo II aprì la Porta santa per il passaggio di millennio.
Oggi sono tante le situazioni di conflitto aperte nel mondo ed è insufficiente l’impegno per contrastare i processi di riscaldamento globale. La tentazione di una rassegnazione, in alcuni casi di una disperazione, che portano di conseguenza ad un ripiegamento su di sé, sono molto forti. Grande è il bisogno di ritrovare le ragioni della speranza, che muovano tutti a passi concreti nella direzione della pace e della sostenibilità. Ci viene offerto un anno intero, da vivere nel segno della speranza.
La tradizione dei giubilei viene da lontano, ha attraversato epoche diverse e si è confrontata con le temperie della storia, ma pure con i dubbi e le trasformazioni della Chiesa stessa. Si tratta infatti di una vicenda secolare che ha coinvolto e appassionato grandi masse di fedeli. Il popolo cristiano ebbe l’intuizione nel 1300 di radunarsi spontaneamente per una richiesta di perdono nel passaggio dal XIII al XIV secolo e papa Bonifacio VIII, cogliendo questa esigenza, indisse il primo Anno Santo della storia. Dunque, un evento spirituale che si è distinto, fin dall’inizio, per il suo carattere popolare.
Il Giubileo è un moltiplicatore di gioie e di speranze. È il felice incontro tra la Chiesa e il bisogno degli uomini e delle donne di ogni generazione di sentirsi sostenuti nelle proprie attese, visioni e sogni. Soprattutto il bisogno di perdono. Cogliendo tale necessità, e reinterpretando l’accompagnamento che la Chiesa da secoli esercita a vantaggio dei più fragili e dei più deboli – ovvero di quasi tutti noi -, papa Francesco ha scelto di porre l’Anno Santo sotto il segno della speranza: «Tutti sperano», ha scritto. «Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza».
La speranza è sfidata, in questo tempo. Il realismo, la rassegnazione, la sfiducia sembrano sensibilità ben più consone all’oggi piuttosto che uno sguardo speranzoso. Ma il papa non cede al pessimismo: la notte finirà ed è possibile “rianimare la speranza”. Non siamo gente della rassegnazione o – peggio – della disperazione.
La Bolla di indizione del Giubileo si diffonde nell’elencare le tante attese che l’Anno santo vorrebbe incarnare e alimentare, a beneficio di chi ha rinunciato a coltivare aspettative e sogni: innanzitutto la pace per il mondo, il sogno che «le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte. «Il Giubileo – scrive il Papa – ricorda che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio”». Segni di speranza vanno offerti ai detenuti, agli ammalati, ai migranti, agli anziani, al grande mondo degli “scartati”. E infine: «Un altro invito accorato desidero rivolgere in vista dell’Anno giubilare: è destinato alle Nazioni più benestanti, perché riconoscano la gravità di tante decisioni prese e stabiliscano di condonare i debiti di Paesi che mai potrebbero ripagarli. Prima che di magnanimità, è una questione di giustizia».
Siamo davanti a un grande invito all’estroversione, iniziando a sanare i tanti dolori di un mondo orfano di speranza. È questa – mi pare – la speranza del papa stesso, il sogno di un popolo di credenti che si muoverà in pellegrinaggio verso Roma, ma anche verso i milioni di poveri e di sfiduciati che non devono essere lasciati soli.
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