«Non lasciamoci contagiare dalla logica perversa della guerra; non cadiamo nella trappola dell’odio per il nemico. Rimettiamo la pace al cuore della visione del futuro, come obiettivo centrale del nostro agire personale, sociale e politico, a tutti i livelli. Disinneschiamo i conflitti con l’arma del dialogo». Al termine dell’incontro “Il grido della pace”, promosso a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio con rappresentanti delle grandi religioni mondiali e di organizzazioni della società civile, è risuonato con forza l’invito di Papa Francesco ad assumersi la responsabilità del dialogo, a non essere «neutrali, ma schierati per la pace».
Il Papa al Colosseo, all’interno dell’Anfiteatro, ha pregato per la pace con i rappresentanti delle Chiese e comunità cristiane, prima di prendere parte al momento finale sulla piazza antistante, accompagnato da grande partecipazione popolare — molti i giovani — e attenzione da parte dei media. Un’opportunità, di cui tanti avvertivano l’esigenza, per rilanciare un’iniziativa di pace in un tempo in cui la guerra è tornata drammaticamente sul suolo europeo oltre a toccare tanti altri contesti.
Da tempo Francesco ha coniato l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi”, mettendo in guardia sui rischi della diffusione delle armi e di un linguaggio bellicista che spinge alla rassegnazione e induce a pensare che la pace sia mera utopia. Di qui l’invito a far silenzio e a ricercare la pace che è «nel cuore delle Religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio. Nel silenzio della preghiera — ha detto Francesco — abbiamo sentito il grido della pace: la pace soffocata in tante regioni del mondo, umiliata da troppe violenze, negata perfino ai bambini e agli anziani, cui non sono risparmiate le terribili asprezze della guerra. Il grido della pace viene spesso zittito, oltre che dalla retorica bellica, anche dall’indifferenza. E’ tacitato dall’odio che cresce mentre ci si combatte».
Sono passati 36 anni dal 27 ottobre 1986, quando Giovanni Paolo II convocò ad Assisi i leader delle grandi religioni mondiali per una giornata di pellegrinaggio, digiuno e preghiera, gli uni accanto agli altri per la prima volta nella storia. In quell’occasione Papa Wojtyla affermò che dalla visione di pace di Assisi sarebbero scaturite «energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace», gesti che avrebbero spezzato «le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie». E’ la storia di questi anni, in cui sono cresciute la comprensione e l’amicizia tra i credenti e si sono verificati tanti cambiamenti, dalla fine della guerra fredda al contenimento dell’idea dello scontro di civiltà.
Con tono pensoso il Papa ha richiamato le parole del radiomessaggio di san Giovanni XXIII del 25 ottobre 1962, quando il suo intervento durante la crisi dei missili a Cuba fu decisivo per aprire un canale diplomatico tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica e scongiurare la guerra nucleare. Sessanta anni fa, Papa Roncalli affermò: «Noi supplichiamo tutti i governanti a non restare sordi a questo grido dell’umanità. Che facciano tutto quello che è in loro potere per salvare la pace. Promuovere, favorire, accettare i dialoghi, a tutti i livelli e in ogni tempo, è una regola di saggezza e di prudenza che attira la benedizione del cielo e della terra».
A sessant’anni esatti da quell’appello così tragicamente attuale, Francesco ha detto al Colosseo: «Si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato». Nell’Appello di pace, firmato dal Papa e dai rappresentanti delle religioni, si legge: «Con ferma convinzione diciamo: basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto». Si invocano «negoziati capaci di condurre a soluzioni giuste per una pace stabile e duratura». Condivisa è la coscienza di trovarsi «di fronte a un bivio: essere la generazione che lascia morire il pianeta e l’umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta».
Nel Novecento i Papi hanno assunto spesso il ruolo di mediatori tra nazioni in lotta: non neutrali osservatori dei conflitti, ma attivi pacificatori e solleciti protettori delle vittime. Mentre cresce l’assuetazione alla guerra, considerata follemente come compagna naturale della storia, la voce del Papa è riuscita a raccogliere e trasmettere con grande autorevolezza il “grido della pace” espresso per tre giorni dai rappresentanti delle religioni venuti a Roma per l’incontro internazionale. Un grido che, come ha ammonito Francesco, «merita ascolto. Merita che tutti, a partire dai governanti, si chinino ad ascoltare con serietà e rispetto».
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