Avvenire, 5 febbraio 2015
E’ la sera del 24 marzo del 1980. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador, celebra la messa nella cappella dell’ospedale per malati terminali, dove vive per essere sempre vicino ai poveri. Uno sparo lo colpisce sull’altare mentre consacrava l’ostia. Muore qualche minuto più tardi, all’età di sessantatré anni. La vigilia, in un’omelia in cattedrale, monsignor Romero aveva chiesto ai militari di non uccidere, anche se questo avesse significato disobbedire agli ordini.
In Salvador ogni giorno c’erano vittime della violenza: morivano contadini, guerriglieri, civili, soldati. Il Paese era in preda a una terribile guerra civile, che avrebbe fatto 80.000 mila morti su quattro milioni di abitanti. In quella guerra si intrecciavano due conflitti: quello provocato dall’ingiustizia sociale, che opponeva un’oligarchia rozza a una grande maggioranza di poveri contadini e quello nato nel clima della «guerra fredda», che in America centrale aveva preso il verso di una guerra combattuta. A ciò va aggiunta la presenza di una destra sanguinaria che finanziava “squadroni della morte” per assassinare chi la pensava diversamente.
Chi era Romero? Innanzitutto un vescovo, secondo la migliore tradizione pastorale cattolica. Aveva a cuore il suo popolo. Possedeva un carisma, quello della parola e della predicazione. Vedeva l’ingiustizia sociale del Paese, l’amara condizione dei salvadoregni, gli effetti della miseria sulla salute dei contadini. Confrontava ciò che vedeva con il Vangelo e gli insegnamenti della Chiesa e dei Papi. Si schierò per la giustizia, per una migliore distribuzione delle ricchezze e perché i ricchi condividessero i loro beni in uno spirito cristiano. Davanti a qualsiasi tipo di violenza chiedeva con fermezza il rispetto delle leggi.
I suoi oppositori, dopo aver tentato invano di farlo destituire da arcivescovo, gli aprirono la strada verso il martirio. Romero sapeva di essere in pericolo. Le minacce e le prove per eliminarlo si moltiplicavano. Era angosciato. Ma decise di non fuggire. Il pastore resta con il suo popolo. La sua vita di prete e di vescovo è tutta qui: il pastore con il suo popolo.
Meticcio, di piccola statura, come la maggioranza dei salvadoregni, da seminarista studiò a Roma dal 1937 al 1943, città per cui ebbe sempre un grande affetto come centro della cattolicità. Consacrato vescovo nel 1970, divenne arcivescovo di San Salvador nel 1977 e ben presto “voce dei senza voce”, cioè dei poveri, grazie alle sue ampie omelie fatte di spiegazione dei passaggi biblici e d’informazioni sui fatti della settimana. I media, nelle mani dell’oligarchia, riportavano con reticenza ciò che succedeva nel Paese. Le omelie di Romero raccontavano fatti reali verificati dalle reti della Chiesa in tutto il Paese e divennero ben presto la principale fonte di informazione sulla situazione reale del Salvador.
Venivano trasmesse alla radio la domenica mattina e ascoltate in tutto il Paese. Suo malgrado, l’arcivescovo divenne l’uomo più influente del Salvador. La sua parola aveva un grande peso. Romero era uomo di pace e parlava spesso contro la violenza, soprattutto in una realtà in cui la violenza era anche vista come mezzo di liberazione dalle ingiustizie. Disse un giorno: «Se Cristo avesse voluto imporre la Redenzione con la forza delle armi o con quella della violenza non avrebbe ottenuto nulla. È inutile seminare il male e l’odio». Era un grande predicatore del Vangelo.
Nel Natale del 1979 così testimonia il suo amore per i poveri: «Cristo è il più povero, avvolto in un lenzuolo. Non nasce nell’opulenza, nell’idolatria della ricchezza, nella corsa al potere, negli intrighi. Cerchiamolo tra i bambini malnutriti che si sono addormentati questa notte senza mangiare, cerchiamolo tra i poveri venditori di giornali che questa notte dormiranno coperti di cartoni sotto i portici, tra i poveri lustrascarpe che forse hanno guadagnato solo lo stretto necessario, o tra i giovani contadini che hanno molto faticato. Non c’è solo la gioia in questo Natale, ma anche molta sofferenza».
Testimonianza di un uomo e di un vescovo che – nel mezzo delle contraddizioni – ha parlato del Vangelo, della pace, dei problemi concreti del suo popolo. E ha indicato, soprattutto, che il vero rinnovamento parte dal cuore: «Com’è facile denunciare l’ingiustizia e la violenza altrui! Da dove viene il peccato? Dal cuore dell’uomo… siamo tutti peccatori e abbiamo tutti portato un granello di sabbia per formare questa montagna di delitti e di violenza. La Quaresima ci invita a convertirci personalmente. Abbiamo tutti commesso errori che nascondiamo e di cui accusiamo gli altri».
In Quaresima lo raggiunse la chiamata al martirio. Nulla fece per proteggersi, se non aumentare il tempo della preghiera e della meditazione di fronte al Santissimo. Romero, che la Chiesa sta per proclamare beato, non ha certo scelto quella morte violenta, ma soltanto di vivere (e morire) come Gesù.
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