In Sudan c’è un popolo che muore di fame

L'altro conflitto

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Si parla ogni giorno di ciò che accade in Ucraina e a Gaza. E giustamente perché i due conflitti rischiano davvero di far precipitare il mondo in una vera terza guerra mondiale e non solo “a pezzi” come ripete da tempo Papa Francesco. Ma c’è un conflitto ugualmente grave, per lo più ignorato dai mass media. È la tragedia di un Paese africano, il Sudan.
Questa tragedia va avanti, silenziosamente solo per chi non vi abita, senza che nessuno riesca ad arrestarla. “Accendiamo i riflettori sul Sudan”, recita l’appello che alcune realtà internazionali (Sant’Egidio, MSF e Emergency) insieme ai religiosi comboniani e alle suore salesiane, hanno lanciato giovedì scorso in una conferenza stampa. Occorre che questo appello sia ascoltato. Si tratta infatti di una grande crisi umanitaria finora senza immagini offerte all’opinione pubblica mondiale.
La guerra, iniziata nell’aprile del 2023, ha provocato 9 milioni di sfollati su una popolazione di 47 milioni di abitanti e circa 2 milioni di rifugiati all’estero, in particolare in Egitto, Ciad e Sud Sudan. L’allarme riguarda soprattutto il flagello della fame e l’incipiente carestia che sta uccidendo lentamente milioni di persone senza che la comunità internazionale si sia data una linea di condotta per interromperla o almeno contenerla.
Secondo il programma alimentare mondiale (PAM) in Sudan attualmente oltre 25 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare, delle quali oltre 8 milioni si trovano ad un livello di grave emergenza e quasi un milione in condizione catastrofica. Si calcola che ogni giorno muoiano 2 adulti su 10mila persone mentre quasi 4,5 milioni di bambini sotto i 5 anni sono gravemente denutriti.
L’appello è indirizzato anche al governo italiano che quest’anno presiede il G7 e potrebbe prendere l’iniziativa per la ripresa dei negoziati e un cessate il fuoco immediato, prima tappa essenziale per aprire la strada a una conferenza internazionale di pace. Del resto nel vertice che si è svolto a Borgo Egnazia è stato già aperto il dossier Sudan. Senza contare il rinnovato interesse dell’Italia nei confronti dell’Africa attraverso il piano Mattei. Occorre un grande e rapido risveglio di tutta la comunità internazionale. È necessario sollecitare “un urgente accesso umanitario senza restrizioni per rispondere ai civili che soffrono la fame”.
A Karthoum, la capitale, si muore silenziosamente e lentamente per fame. Da 14 mesi è ormai città fantasma ed è stata evacuata da almeno la metà della sua popolazione originaria. Il governo ufficiale delle forze armate sudanesi si è rifugiato a Port Sudan dove il porto è quasi del tutto fermo. La guerra ha bloccato ogni attività, le scuole sono chiuse, non c’è più energia, l’unico oleodotto del paese è stato sabotato, le centrali elettriche sono fuori uso. I ribelli delle Rapid Support Forces (RSF), strumento dell’esercito durante la precedente guerra del Darfur, hanno rifiutato di cedere le armi. Da qui uno scontro all’ultimo sangue con i vecchi alleati militari, che ha travolto l’intero paese.
Il Sudan era stato al centro dell’attenzione internazionale per la rivolta pacifica della sua società civile che nel 2019 era riuscita a far cadere a mani nude il regime islamo-militare di Omar al Bechir. Si era trattato di un esempio per tutta l’Africa e il mondo arabo: giovani e donne insieme per chiedere ed ottenere democrazia e diritti. Ne era nata una transizione con un primo ministro civile proveniente dalle istituzioni internazionali. La duplice sfida del convivere e della ricerca di una via democratica è stata affrontata con coraggio, finché tra RSF e forze armate regolari la crisi è divampata improvvisa. È morta la grande speranza della rivoluzione civile. Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita hanno più volte tentato di intervenire senza successo.
Occorre, davvero, che il mondo sappia e che la comunità internazionale agisca, prima che sia troppo tardi, prima di assistere ad una tragedia immensa: la morte lenta di un popolo per fame.

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