La festa dell’Europa, alla vigilia delle elezioni europee, fa riflettere pensosamente sul continente toccato drammaticamente dalla guerra in Ucraina. Amare l’Europa ma aver paura di Bruxelles. Sognare un continente forza gentile ma tollerare impulsi nazionalisti e localisti; sentirsi uniti ma pur sempre troppo diversi; ricercare regole sopranazionali ma essere riluttanti a completare l’edificio comune; apprezzare il mercato unico ma diffidare dell’euro; beneficiare della fine delle frontiere interne ma paventarne l’eliminazione; desiderare la fine delle guerre ma andare in ordine sparso a livello internazionale…
L’avventura europea è una lunga lista di contraddizioni e indecisioni. Gli europei sono incerti e insicuri sul loro destino. Presi, come scrive Manent, «tra le loro vecchie nazioni e la nuova Unione Europea, si domandano, perplessi e in mezzo al guado, quale sorta di vita comune essi si augurano per loro stessi…». Forse non sono mai stati tanto esitanti come oggi sul da farsi.
Grandi domande sorgono oggi sul futuro del continente, prima delle quali quella sulla pace. È noto come alla radice della costruzione comunitaria vi sia l’intuizione e l’impegno di grandi cristiani europei, di cattolici. La dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950, che oggi ricordiamo, superava anni di guerre e divisioni proponendo una nuova forma di collaborazione tra Paesi europei. I “padri” dell’Europa oltrepassando le profonde divisioni dei popoli, credettero in un destino comune. Nell’adempimento di tale disegno, Adenauer, De Gasperi, Schuman e altri, trassero ispirazione dalla loro fede. Quest’ultima illuminava l’ideale europeo e lo rendeva diverso da un negoziato di interessi contrapposti.
Per i fondatori, l’Europa era il frutto di un cambiamento profondo di mentalità, di una sorta di conversione. Non si trattava di un compromesso ma di un metodo completamente nuovo, basato su valori peculiarmente cristiani: le virtù del sacrificio, della comprensione, della fiducia e dell’interesse comune. Da un punto di vista politico, quei cristiani europei furono orientati dall’universalismo della Chiesa. Nei lunghi anni della costruzione europea, tale spinta ideale si è persa però a vantaggio di un’Europa mercantile, prodotto di negoziati attorno al conflitto di interessi contrapposti. Nata come progetto politico par excellence, l’integrazione è stata perseguita con strumenti economici che l’hanno svuotata e impoverita. La perdita della spinta iniziale ha allontanato progressivamente l’Europa dai suoi cittadini, pur permanendo in filigrana l’aspirazione a un interesse superiore. Ma l’Europa ha senso solo nel proporre al mondo un modello del vivere insieme e di vivere per gli altri.
L’Europa ha senso se è casa di pace. Perché, malgrado i suoi errori e le sue debolezze, ha ancora tanto da dare al mondo: il suo umanesimo, la sua forza ragionevole, la sua capacità di dialogo, le sue risorse, il suo modello sociale, la sua cultura. Alcuni punti possono fare dell’Europa un modello per altri continenti. Origine di due guerre mondiali, può essere un paradigma di pace e di solidarietà universale. Con le sue diversità che si compongono, realizza la civiltà del vivere insieme – quella che manca al mondo – risposta alla globalizzazione omogeneizzante e alla falsa dottrina degli scontri di civiltà e di religione. Il suo modello sociale è un’alternativa a un’economia disumana, basata solo sull’interesse immediato e predatorio.
L’Europa può dare risposte a un’Africa che cerca partner sinceri. La civiltà del convivere è la replica europea al terrorismo, al fanatismo e al fondamentalismo. Gli europei devono ritrovare l’orgoglio umile e consapevole di una comunità di destini, il convivere che è la civiltà del futuro, e l’impegno per la pace nel continente e nel mondo.
La tecnica non basta più perché è cambiato il mondo e ognuno vuole dire la sua. Non si può impedirlo. È necessario dunque tradurre l’Europa in qualcosa di comprensibile e superare un linguaggio “eurocratico” non accessibile. Oggi la sua costruzione e integrazione è sottoposta al vaglio quotidiano del cittadino e dell’elettore, chiunque egli sia. Forse un tempo i “padri” non si sono sentiti tutti uguali in Europa, complice la storia. Ma oggi, senza timori e senza confronti, i figli si sentono tutti uguali: è ora di accettarlo.
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