Un inverno gelido, buio e scuro: questo è quello che vivono oggi gli ucraini mentre la guerra scatenata dalla Russia, a meno di un miracolo di pace, segnerà proprio il 24 dicembre, vigilia di Natale, il decimo anniversario dal suo inizio. Le città ucraine sono già al freddo e molte sotto la neve, per molte ore al giorno manca l’elettricità e la possibilità di riscaldare le case. Le sirene delle città e dei paesi non danno tregua. A Kiev, la capitale e dunque forse la città più protetta, le interruzioni di corrente durano fino a dodici ore al giorno. Il numero dei militari ucraini uccisi non si conosce: i russi dicono 61.000, gli ucraini ne contano 10.000.
Le vittime civili sono migliaia. Mentre i rifugiati ucraini fuori dal Paese sono ormai 7,9 milioni e gli sfollati interni 6 milioni e mezzo. Un intero popolo, per lo più composto da donne, bambini e anziani, ha dovuto lasciare le proprie case. Le distruzioni non si contano e la ricostruzione del paese avrà costi incredibili.
Di fronte a questo scenario, nelle ultime settimane gli attori principali e la comunità internazionale hanno cominciato a balbettare qualcosa su possibili negoziati. Ma sono sussurri. La voce più forte e continua che chiede di fermare questa guerra nel cuore dell’Europa è quella del Papa. E giovedì davanti a 20mila persone riunite a Roma in Piazza di Spagna, questa voce si è rotta, per un momento, in un pianto. Quelle lacrime sono state viste da milioni di persone in un breve tempo e hanno toccato il cuore di tanti.
Potranno quelle lacrime toccare il cuore di chi ha in mano le sorti di questo tragico conflitto? E’ una speranza, ma le lacrime di Francesco suonano come una sveglia a chi si sta abituando a questa guerra. Perché se ci si abitua significa che la guerra ha vinto. Poche settimane fa una enorme folle a Roma, da tutto il paese, ha manifestato per la pace in Ucraina, ha chiesto alla diplomazia e alla politica di uscire dal letargo e salvare la pace. In Russia, un piccolo segnale positivo viene dai sondaggi: cresce tra i cittadini il desiderio di pace. Quasi 300mila giovani russi hanno lasciato il Paese per sfuggire alla coscrizione obbligatoria. Sono giovani che non vogliono fare la guerra.
Quello che conta è il domani: è immaginare una via di pace che oggi sembra così lontana. Se si vive il conflitto dall’ esterno — come spesso accade – con una logica da tifoserie, la pace non la si cercherà mai. Se lo si vive nella sola logica binaria del bene contro il male, non ci sarà mai nessuna mediazione o compromesso. Le lacrime del Papa sono un disperato appello a fermare la macchina delle armi, rivolto innanzitutto a chi ha scatenato questa aggressione.
E noi europei? Sembriamo esserci un po’ abituati alla guerra. Come se non ci toccasse più di tanto. Ma questo è il momento di essere ancora più solidali con gli ucraini al buio e al gelo. Bisogna continuare a inviare aiuti in questo paese e a sostenere gli ucraini che vivono tra noi. Non tifare, ma aiutare concretamente: questo è quello di cui oggi hanno bisogno le vittime del conflitto. Non possiamo solo guardare gli effetti collaterali della guerra sulle nostre società.
Alcuni esempi: in molte città europee le amministrazioni hanno deciso di limitare l’uso delle luminarie delle feste natalizie. In Germania il governo federale non finanzierà le luci della festa nelle città tedesche. In Francia, uno dei simboli di Parigi, gli Champs Elysées non saranno illuminati fino alle due di notte, ma si spegneranno prima della mezzanotte. Una delle vie più note di Londra, Oxford Street, sarà illuminata soltanto per 8 ore. Le famiglie italiane ed europee si misurano con il forte aumento delle bollette dell’elettricità e dei riscaldamenti. Le imprese vedono aumentare i costi. Anche queste sono le conseguenze della guerra. Arrivano, seppure in maniera imparagonabile a quelle dell’Ucraina, nelle nostre città e nelle nostre case.
Mentre si avvicina il Natale non dimentichiamo le lacrime del Papa che chiedono pace. Restiamo solidali con gli ucraini, in ogni modo possibile, provando a scaldare e illuminare il loro Natale con il nostro calore e la nostra concreta vicinanza. Non abituiamoci alla guerra, continuiamo a chiedere pace.
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