Marco Impagliazzo: non rassegniamoci a un destino di guerra «Ora uniamo gli sforzi» Il «summit» per la pace con Mattarella e papa Leone

La Comunità di Sant'Egidio: rafforzare l'ONU

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Da oggi al 28 ottobre si svolge a Roma l’evento internazionale «Osare la Pace», promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Sono attese circa 10 mila persone da ogni parte del mondo. Inaugurazione questo pomeriggio alle 17 nella Sala Santa Cecilia dell’Auditorium Parco della Musica, con intervento del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La cerimonia conclusiva, nel pomeriggio di martedì, si terrà al Colosseo, con papa Leone XIV e i leader di altre religioni.
Marco Impagliazzo, 63 anni, professore di Storia contemporanea all’Università di Roma Tre, è il presidente della Comunità di Sant’Egidio.
Perché la parola «osare»? La pace è forse un azzardo?
«Piuttosto un sogno, una nuova prospettiva, mentre la narrativa degli ultimi anni è stata soltanto di guerra. Noi vogliamo immaginare la pace, costruirla, proprio mentre sono in atto dei conflitti. Sollevando lo sguardo dalla cupezza e dal dramma in atto in tante parti del mondo».
Come?
«Occorre unire gli sforzi, mobilitare i politici, la cultura, le religioni. Non rassegnarci a un destino di guerra ma rafforzare la consapevolezza che invece il nostro deve diventare un destino di pace».
C’è speranza, dunque?
«Sì. A Gaza qualcosa si è fatto. Come altrove. Conflitti che sembravano eterni si sono conclusi. Sono prime brecce, non lasciamole richiudere. C’è un desiderio collettivo di pace che va ascoltato».
In concreto come ci si deve muovere?
«Ridare forza alle istituzioni internazionali, in primo luogo all’Onu. E spazio alla diplomazia. Far parlare anche chi ha delle idee. Chi ha fatto degli studi sul problema. Associazioni come la nostra, che conosce la guerra da vicino. Grazie anche alla nostra opera, specie in Africa – Sudan e Repubblica centrafricana, Congo e Mozambico – è in atto una politica di disarmo. Fondamentali sono state le visite di papa Francesco».
Siete attivi in Ucraina, uno dei fronti aperti.
«Migliaia dei nostri lavorano sul posto per la pace. Aiutano la popolazione a resistere, sostengono gli sfollati, fanno scuola ai bambini».
Di chi è la colpa se gli uomini si fanno la guerra?
«Di chi produce armi. Di chi ha ambizioni imperialiste. Di chi, per desiderio di soldi e potere, cerca di conquistare terre rare, materiali preziosi».
E vi darà retta?
«Deve sapere che c’è un mondo che vuole la pace. E’ importante che l’opinione pubblica si faccia sentire. Che eserciti una pressione pacifica, non violenta».
In alcune manifestazioni per la pace, qualche violenza c’è stata.
«Solo da parte di pochi elementi, per ideologia. Ma i capi religiosi hanno ritrovato il dna della pace, non si fanno più strumentalizzare. C’è più dialogo. Nessuna guerra è santa, soltanto la pace lo è».

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