«Fermate la guerra! Fermate le guerre! Stiamo già distruggendo il mondo! Fermiamoci finché siamo in tempo!» Da Parigi si è levato un grido di protesta di fronte alla guerra, alla violenza e all’odio: fare la pace è possibile
Quasi ogni giorno siamo assediati da notizie di attentati, stragi, bombardamenti. Gaza, Israele, Libano, Sudan, Ucraina, Yemen: per elencare i nomi di alcune stazioni di questa via dolorosa contemporanea, che papa Francesco ha definito “Terza guerra mondiale a pezzi”. Ma se il mondo è segnato da una “guerra a pezzi”, significa che questi pezzi possono saldarsi e che c’è il rischio di una guerra più grande e travolgente.
Davanti a questo scenario diventiamo spettatori distratti e lentamente scivoliamo verso la rassegnazione o l’indifferenza. Cosa contiamo davanti alle scelte belliche dei grandi del mondo? E non è un’utopia parlare di pace quando i segnali di guerra si moltiplicano?
Per reagire al senso di impotenza occorre attingere alle energie spirituali presenti nelle religioni, seguendo il cammino intrapreso da san Giovanni Paolo II ad Assisi nel 1986. In un’epoca incerta e altrettanto carica di minacce a causa delle tensioni della guerra fredda, papa Wojtyła seppe indicare nell’incontro tra i leader religiosi la via per una nuova visione di pace, alternativa allo scontro tra i popoli e le religioni, ereditato da secoli di estraneità e inimicizia.
In questo spirito la Comunità di Sant’Egidio ha promosso, insieme all’arcidiocesi di Parigi, l’Incontro internazionale Imaginer la Paix. Per tre giorni, dal 22 al 24 settembre, dall’Europa e da altri continenti si è dato appuntamento, nella capitale francese, un “popolo della pace” di diverse religioni, culture e anche generazioni, per confrontarsi e far sentire la propria voce, quella di chi è alla ricerca di strade di pace nel buio fitto dei conflitti di oggi, perché non si rassegna di fronte alle troppe vittime innocenti, alle migliaia di rifugiati e alle devastazioni provocate dalla guerra.
A Parigi i leader religiosi sono tornati insieme al cuore delle loro tradizioni di fede, ricche di sapienza umana e spirituale. Andare in profondità è insieme un esercizio di umiltà e di resistenza. Umiltà perché il ritorno alle fonti permette di capire che c’è qualcosa di più grande delle nostre emozioni, delle nostre sensazioni o dei modelli cristallizzati; che c’è qualcosa che va al di là di noi, del nostro presente e dell’attualità. Resistenza a una cultura semplificatrice che si abitua ai conflitti e che ruota tutta attorno all’ego.
Dall’incontro di Parigi si è levato un grido di protesta di fronte alla guerra, alla violenza e all’odio. Ad esso si è unita anche la voce di papa Francesco, che in un messaggio ai partecipanti, ha implorato: «Fermate la guerra! Fermate le guerre! Stiamo già distruggendo il mondo! Fermiamoci finché siamo in tempo!». Chiedendo ai leader religiosi di allontanare «dalle religioni la tentazione di diventare strumento per alimentare nazionalismi, etnicismi, populismi», il Papa ha indicato “il grande compito della pace” che è affidato a ciascuno: «Ci sono chieste saggezza, audacia, generosità e determinazione. Dio ha consegnato anche nelle nostre mani il suo sogno sul mondo: ossia la fraternità tra tutti i popoli».
Queste parole sono risuonate sul sagrato della cattedrale di Notre Dame, la cui facciata è completamente ricostruita, in attesa di poter accogliere la preghiera dei fedeli, dopo il terribile incendio del 2019.
Prima del messaggio di Francesco, Gilberte Fournier, anziana parigina di 93 anni che ha vissuto da bambina la Seconda guerra mondiale, ha invitato i tanti giovani presenti a «non perdere la memoria del grande male, della grande sconfitta per l’umanità che è la guerra», ma anzi a «custodire e far crescere la pace che la mia generazione ha immaginato dopo la guerra».Esiste una via per uscire da un clima di guerra permanente: è stata tracciata da quelli che ci hanno preceduto e che hanno sognato un mondo più giusto per i loro figli. La loro speranza era la pace e sul suo fondamento hanno costruito l’Europa, assicurandole decenni di benessere e convivenza pacifica.
In tre giorni di intensi dialoghi sono state affrontate tante problematiche emergenti del nostro tempo: le guerre in diverse aree del mondo, la corsa agli armamenti e le nuove minacce atomiche, l’ambiente e i cambiamenti climatici, le migrazioni, la crisi della democrazia, la crescita della povertà e la necessità di dare un’etica all’Intelligenza artificiale e al progresso tecnologico.
Insomma, Parigi ha rappresentato un’occasione di autentico confronto, in cui si sono espresse tutte le lingue e tutte le culture. C’è un’inquietudine di pace comune a tutti.«Chiunque fa credere che la soluzione possa essere nella distruzione dell’altro crea la guerra eterna. La pace è possibile solo nella coesistenza», ha affermato Emmanuel Macron all’assemblea d’apertura. «La guerra ha sempre una legittimità molto forte e più va avanti, più la sua forza è presente, mentre la pace è ontologicamente precaria, perché fare la pace significa rinunciare a qualcosa che ha giustificato l’inizio delle ostilità».
Germaine Tillion, celebre antropologa francese, sopravvissuta al lager nazista di Ravensbrück, diceva che una «politica di conversazione con l’altro» è necessaria. Prima o poi porta alla pace. È quello che hanno vissuto a Parigi donne e uomini di religioni diverse: parlare, immaginando l’utopia della pace.
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