Huffington Post, 16 gennaio 2016
di Marco Impagliazzo
Il 17 gennaio Papa Francesco varca la soglia della grande Sinagoga di Roma. Ero presente il giorno in cui l’ex presidente della comunità ebraica, Riccardo Pacifici, lo invitò durante l’incontro del papa con la Comunità di Sant’Egidio, il 15 giugno 2014. Varie vicende hanno fatto sì che la visita avvenga un anno e mezzo dopo quell’invito.
Il Papa in Sinagoga è oramai per noi quasi una consuetudine. Francesco è il terzo Papa che compie questo breve tragitto dal Vaticano al Tempio attraversando il Tevere che però è il frutto di un lungo e tormentato cammino di avvicinamento avvenuto nel Novecento dopo la Shoah. E proprio il tragico evento della Shoah non è estraneo a questo lento ma continuo avvicinamento tra le due fedi, se pensiamo che il primo Papa ad aver voluto rendere omaggio agli ebrei romani in Sinagoga nel 1986 è stato Giovanni Paolo II, che quella vicenda l’ha vissuta in prima persona nella Polonia occupata dai nazisti, vedendo scomparire tanti suoi amici ebrei di Cracovia.
Da quel giorno memorabile sono passati 30 anni, ma lo scorso anno sono passati 50 anni da un altro evento centrale in questo percorso: la promulgazione della dichiarazione conciliare Nostra aetate sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, in cui un ruolo centrale era assegnato all’ebraismo. È difficile
sopravvalutare la portata del Concilio Vaticano II nel percorso di riavvicinamento tra ebrei e cattolici. E non è un caso che Wojtyla vi abbia partecipato come arcivescovo di Cracovia. La storia personale di Wojtyla si intrecciò con i processi profondi della storia che stavano portando il cattolicesimo e l’ebraismo e riconoscersi nella loro radice comune, dopo secoli di separazione e incomprensioni, come si evince dalle parole di Pio XI che reagendo alle leggi antisemite italiane del 1938, disse: “Noi siamo spiritualmente semiti”, espressione ripresa nella Nostra aetate e che mostra come la chiesa stava cominciando a prendere le distanze da una lunga tradizione antigiudaica che aveva assunto anche forme ritualizzate, come quella per cui ad ogni elezione papale gli ebrei romani dovevano umiliarsi di fronte al nuovo pontefice offrendo un tributo.
Benedetto XVI ha voluto seguire le orme di Giovanni Paolo II, visitando la Sinagoga di Roma nel 2010. Oggi la visita di Francesco viene a suggellare un’intuizione di Giovanni Paolo II e potrebbe costituire l’inizio di una nuova tradizione che rinsalda e conferma la coscienza di un legame profondo tra le due fedi in forma speculare e contraria al tributo rituale che la comunità ebraica romana doveva al papa appena eletto nella Roma pontificia.
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