L‘8 marzo di quest’anno è caduto in un “tornante della storia” molto particolare, in un tempo buio di guerra e di rivalutazione della guerra. Quel che sta accadendo in questi ultimi anni, con il progressivo “allargarsi” delle zone del pianeta coinvolte in un modo o nell’altro nella “terza guerra mondiale a pezzi” e soprattutto con lo sdoganamento dei toni bellicisti, con l’evocazione di scenari apocalittici come possibili, impone di guardare al ruolo delle “donne per la pace” con grande attenzione, come Avvenire ha scelto di fare a partire dall’8 marzo scorso.
Innanzitutto, perché in molti casi le donne – sebbene non dovunque e non quanto sarebbe giusto – si sono conquistate una capacità di leadership impensabile decenni fa. Una buona notizia, un’ottima notizia. Sottrarre alla metà più aggressiva del genere umano le “stanze dei bottoni” e farle gestire all’altra metà, «quella migliore» (come cantava Umberto Saba), non dovrebbe essere altro che un progresso. Per questo fa male ascoltare sulla bocca di una donna alla guida di un’istituzione sovranazionale parole non di pace, di diplomazia, di cooperazione internazionale, bensì di riarmo e di guerra. Peraltro paragonando strumenti di cura e salvaguardia della salute come i vaccini con mezzi di morte e distruzione come le armi.
Ha scritto una femminista storica come Ida Dominijanni: «Una bestemmia paragonare un fondo per le armi a quello che è stato il fondo comune per i vaccini. Sono segnali di un allineamento anche femminile alla logica maschile della guerra, dalla quale le donne sono state storicamente estranee, dato che le guerre le abbiamo sempre subite ma non siamo mai state noi a dichiararle». Sì, il «secondo sesso» (De Beauvoir) non condivideva mai l’entusiasmo maschile per la guerra…
Un po’ più di un secolo fa un poeta guerrafondaio e poi fascista come Filippo Tommaso Marinetti poteva scrivere: «Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – militarismo, […] e il disprezzo della donna». Nel disprezzo dei futuristi verso il genere femminile si riassumeva l’ostilità di una società allora davvero patriarcale verso chi aveva sempre rappresentato il polo opposto alla furia della guerra, quelle donne che erano l’altro nome della pace.
Potrebbe oggi essere data per scontata una tale antinomia tra donna e guerra? E non è, questo, un problema? Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la Letteratura, scrittrice bielorussa, critica nei confronti della guerra in Ucraina, avversata dai nazionalisti di tutti i soggetti coinvolti nel conflitto, ha pubblicato qualche decennio fa un libro, La guerra non ha un volto di donna, che già nel titolo denuncia la radicale distanza tra un cuore femminile e la tragedia che ogni scontro bellico significa per l’umanità. In un’intervista l’autrice affermava: «La guerra per le donne è un’altra cosa rispetto ai maschi. Mi hanno colpito le parole di una ex soldatessa sovietica che dopo una battaglia è andata a vedere il campo dove giacevano i morti e i feriti. Diceva: c’erano ragazzi, bei giovani, russi e tedeschi, mi dispiaceva ugualmente per tutti quanti. La morte e il dolore non conoscono differenze tra gli esseri umani. Ma lo sanno solo le donne. Un maschio raramente ragiona in simili termini. Le donne sono legate all’atto di nascita, alla vita. Gli uomini invece sono lontani dalla vita».
Tale passaggio è straordinario. L’empatia e la pietà femminili prevalgono su tutto, su ogni valutazione relativa ad aggressori ed aggrediti, a ragioni e torti. La vita viene prima di tutto. Ingenuità? Debolezza? O qualcosa di prezioso che il nostro mondo sta perdendo? Le parole di papa Francesco, fatte proprie da “Avvenire” – «guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono» – indicano l’unica strada da percorrere per non incamminarci come “sonnambuli” verso la catastrofe.
Tale passaggio è straordinario. L’empatia e la pietà femminili prevalgono su tutto, su ogni valutazione relativa ad aggressori ed aggrediti, a ragioni e torti. La vita viene prima di tutto. Ingenuità? Debolezza? O qualcosa di prezioso che il nostro mondo sta perdendo? Le parole di papa Francesco, fatte proprie da “Avvenire” – «guardare alle donne per trovare la pace, per uscire dalle spirali della violenza e dell’odio, e tornare ad avere sguardi umani e cuori che vedono» – indicano l’unica strada da percorrere per non incamminarci come “sonnambuli” verso la catastrofe.
“Donne per la pace” è il messaggio che lancia questo giornale, dando voce a decine di protagoniste, eroine della pacificazione e della riconciliazione, in particolare “dal basso”, perché sia di nuovo vero che le donne facciano comprendere ai popoli come sia la pace la sola e credibile “igiene del mondo”.
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