Si è prossimi ai quattro mesi di guerra in Ucraina. Quattro mesi di morte, di distruzione, d’inferno. Ma pure di militarizzazione delle coscienze e di linguaggio bellicista, che ci trascina nel gorgo del bipolarismo dell’odio, in cui quello che conta non è capire e progettare il dopo ma schierarsi o addirittura tifare. In tale clima bellicistico, diversi commentatori hanno tentato di trascinare anche papa Francesco accusato di aver detto che la guerra non è una favola, e soprattutto che «non ci sono buoni e cattivi metafisici». Il Papa ha ricordato che la guerra non è mai giusta, e che non è sua intenzione benedire una parte contro l’altra. Sono passati alcuni giorni, ma è bene tornare a riflettere a mente fredda sulle parole e sui gesti di pace che Francesco ci ha via via consegnato. Tanti, troppi commentatori in diverse occasioni sono insorti, risentiti. E allora giù con il “mantra” che c’è un aggressore e un aggredito. Come se non fosse chiaro. Come se il Papa non lo sapesse, lui che il 25 febbraio si è recato dall’ambasciatore russo presso la Santa Sede per esprimere il proprio sgomento e la propria condanna.
Francesco lo ricorda continuamente per le altre guerre (oggi dimenticate) in Etiopia, in Yemen, in Siria, in Sud Sudan, in Kivu (un altro cuore ferito del mondo dove vorrebbe recarsi)… In molte occasioni ha detto parole forti e chiare sulle sofferenze del popolo ucraino, invocando di fermare il massacro.
Anche il Papa è consapevole della polemica che divide l’opinione pubblica: «Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi». La realtà è sempre complessa. Tanto più la realtà di una guerra. Ma è proprio questa faticosa dimensione della complessità a risultare inaccettabile ai molti semplificatori. C’è chi ha scritto: «Troppa complessità, Santo Padre», e propone la sua ricetta: «Nella cucina degli ucraini sul cartellino con il promemoria “Cosa manca oggi” è scritto: armi, armi e ancora armi». Ma la condotta reale della guerra sul terreno ci mostra un’altra storia: oltre le sofferenze senza limite, c’è il rischio che diventi permanente. Questo è ciò che i “tifosi” non vedono, e che mette in allarme il Papa, è che la guerra ci trascina in un ingranaggio senza limiti. Una guerra che non si saprà più come fermare com’è accaduto ai recenti conflitti. E qui c’è il rischio dell’escalation nucleare. Dopo di che le ragioni non varranno più e trionferà solo la paura.
Lucio Caracciolo ha notato che «il conflitto è tale che in qualsiasi momento può slittare verso esondazioni incontrollabili. Fa male pensare che possiamo farci poco. Fa peggio pensarsi padroni del gioco». L’Europa non può incamminarsi sonnambula verso l’abisso, come già accaduto. Durante il recente viaggio a Kiev dei tre premier, Macron ha dichiarato che «l’Ucraina non avrà mai pace se l’obiettivo finale è mettere in ginocchio la Russia». Con Scholz e Draghi i tre Paesi fondatori dell’Europa comunitaria cercano una via d’uscita. E’ difficile ma la caratteristica delle democrazie è di pensare alla pace, solo le autocrazie stanno comode nella guerra, che le puntella. La morte di ogni ipotesi di mediazione ci imprigiona in una trappola.
Il Papa ci sta anche dicendo: alzate lo sguardo oltre il campo di battaglia e guardate quanto il conflitto sta prendendo in ostaggio un mondo affamato e a corto di energia. «La guerra ha una potenza demoniaca […] e il Papa è tra i pochi a possedere la forza (morale e intellettuale) di spezzare questo cerchio perverso», ha scritto Marco Revelli: «Francesco ha parlato la lingua della Terra, non quella di un qualche Stato, o popolo, contrapposto ad altri». «Ha dato seguito al messaggio affidato a suo tempo alla Laudato si’, dove parla di un mondo in cui “tutto è connesso” con tutto», ha scritto ancora Revelli.
Il pontefice che viene «quasi dalla fine del mondo» non vuole assistere alla fine del mondo, né intende rendersene complice. È pronto a sopportare lo sguardo malevolo di certi media e di certi politici con l’elmetto, che poco conoscono la storia e non amano guardare al domani, pur di offrire un’opportunità alla pace. È lo scandalo di un Papa che — scrive Domenico Quirico — «ci ricorda che la guerra giusta non esiste, è un mito insipido che non dobbiamo condividere con le bugie dei prepotenti». E soprattutto dà voce e restituisce orizzonte ai tantissimi di noi, donne e uomini, che in ogni Paese resistono alle propagande belliche e si impegnano e si appellano in molti modi contro la guerra, le sue logiche e le sue distruzioni.
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