Da Avvenire del 5 ottobre 2017
di Marco Impagliazzo
Era il 4 ottobre di venticinque anni fa. A Roma veniva firmata la pace per il Mozambico, Paese dell’Africa meridionale, il cui popolo aveva subìto una guerra devastante con più di un milione di morti ed ereditato un territorio a pezzi. Era il Paese più povero del mondo. In un modo originale, fino ad allora inesplorato, si riusciva a risolvere un vecchio conflitto, nato quando il mondo era ancora diviso dalla logica dei due blocchi, Est e Ovest. La comunità internazionale, in 16 anni, non era riuscita a fermarlo. Ce la fecero, in due anni e mezzo di trattative presso la sede romana della Comunità di Sant’Egidio, quattro mediatori ‘atipici’ – Andrea Riccardi, don Matteo Zuppi, il vescovo mozambicano Jaime Gonçalves e, per il governo italiano, Mario Raffaelli – portando finalmente la pace tra il governo marxista della Frelimo e la guerriglia della Renamo. Come fu possibile? E quale legittimazione poteva avere una semplice comunità cristiana nel portare avanti una mediazione del genere?
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