di Marco Impagliazzo su Avvenire del 25 agosto 2019
Trent’anni fa l’Italia si fermò per l’omicidio di un immigrato: Jerry – Essan Masslo, di 29 anni, fuggito dal Sudafrica dell’apartheid, nato nello stesso bantustan di Nelson Mandela. Fu ucciso a Villa Literno, dove lavorava come bracciante stagionale nella notte tra il 24 e il 25 agosto 1989. A quel tempo l’immigrazione non faceva notizia, sebbene il saldo migratorio fosse positivo già dagli anni Settanta e l’Italia fosse diventata una terra d’immigrazione. Non c’era alcun clamore attorno ai fenomeni migratori. Sembra un’epoca distante anni luce, mentre oggi d’immigrazione si parla continuamente e con toni allarmistici. Jerry era arrivato a Roma nel 1988 ed era ospite della Comunità di Sant’Egidio a Trastevere. Prima di intraprendere il lungo viaggio verso l’Europa, aveva portato la moglie e i due figli in Zambia, perché temeva che nel Sudafrica razzista fossero in pericolo. Un altro suo figlio, infatti, era stato ucciso da una pallottola vagante durante una manifestazione per i diritti dei neri. Jerry sognava di andare con la sua famiglia in Canada. L’Italia era una tappa intermedia, in attesa del visto. A Roma aveva trovato accoglienza e amicizia.
Voleva lavorare e così andò a Villa Literno per raccogliere pomodori durante l’estate. Quell’anno si era sparsa la voce che il raccolto fosse abbondante ed erano aumentati quelli che chiedevano di lavorare a giornata. Così i proprietari dei campi, approfittando della tanta manodopera, avevano abbassato i già miseri salari, pagando 800 lire una cassetta di 23 kg. Lo sfruttamento era pesante e i braccianti, pur di ridurre le spese, dormivano ammassati in capannoni e vere e proprie baracche, in pessime condizioni igieniche. Ancora oggi, purtroppo, i braccianti soprattutto stranieri sono spesso sottoposti a condizioni di sfruttamento simili.
La notte del 24 agosto, quattro giovani del posto, armati, fecero irruzione nella baracca in cui dormiva anche il giovane sudafricano, per derubare i braccianti. Alcuni tentarono di opporre resistenza e i banditi spararono, ferendo due ragazzi e uccidendo Jerry. Non era il primo atto di violenza contro i braccianti africani nella pianura campana. Non era neanche il primo omicidio. Eppure, a differenza di quanto era accaduto in passato per vicende analoghe, cadute subito nell’oblio, l’omicidio di Jerry Masslo divenne un caso. Probabilmente, perché si trattava di un sudafricano fuggito dal razzismo e ucciso in Italia per una violenza cui il razzismo non era estraneo. Forse anche perché era conosciuto nel mondo dell’associazionismo e la sua storia fu divulgata. Non era un uomo senza nome e senza volto.
L’Italia si commosse di fronte alla sua vicenda. Ci fu sdegno, tanto che fu organizzata a Roma una grande manifestazione antirazzista, la prima di quel genere. I funerali di Jerry furono trasmessi in diretta dalla Rai e vi parteciparono i rappresentanti delle istituzioni, tra i quali il vicepresidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli. Il presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, inviò a Sant’Egidio un telegramma ufficiale di condoglianze. Per la prima volta ci fu attenzione ai lavoratori immigrati e ai loro diritti: uscirono dall’ombra, i loro problemi furono discussi a livello nazionale.
Proprio Martelli, sull’onda del caso Masslo, spinse per varare una legge sull’immigrazione, quella che porta il suo nome, approvata nel febbraio 1990. L’Italia, in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, si dotava di una legge organica sul tema. In essa, accanto a provvedimenti tesi a regolare i flussi in ingresso, la disciplina legale del soggiorno e il contrasto dell’immigrazione irregolare, vi erano norme per tutelare i lavoratori stranieri e si stabiliva una sanatoria per gli irregolari. Mancava però, in quella legge, una spinta all’integrazione. Si faceva fatica – la si fa ancora oggi – a considerare l’immigrazione per quello che realmente è: un fenomeno strutturale del nostro tempo, che necessita di essere affrontato con politiche e regole lungimiranti.
Ricordare la vicenda di Jerry Essan Masslo, dopo trent’anni, è onorare la memoria di un giovane immigrato, in cerca di un futuro migliore, ma anche ricordare che è possibile farsi interrogare da una storia, riflettere sull’immigrazione e pensare soluzioni di lungo periodo. Se ci si ferma a ragionare pacatamente sull’immigrazione, ci si accorge che tante cose che passano ormai per “normali”, non lo sono affatto.
Non lo è l’aggressione verbale – e sempre più spesso anche fisica – contro i migranti. Non lo è impedire a un ragazzo di accedere a una spiaggia per il colore della sua pelle. Non è normale che i migranti salvati dalle Ong nel Mediterraneo siano considerati solo la posta in gioco in una partita politica, come se non fossero donne e uomini e bambini. Non è affatto normale, che non ci si commuova più neppure per i più piccoli, che andrebbero sempre protetti.
Jerry, come tanti uomini e tante donne di oggi, era un immigrato, ma soprattutto un uomo perseguitato da un regime ingiusto, in cerca di un luogo dove poter vivere in pace con i suoi cari.
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