Famiglia Cristiana, 11 agosto 2016
di Roberto Zichittella
A trent`anni dallo storico incontro del 27 ottobre 1986, voluto da Giovanni Paolo II, si ritrovano insieme 400 capi religiosi. Parla Marco Impagliazzo, di Sant`Egidio, che respinge le critiche all`abbraccio tra imam e preti nelle chiese.
Non si è ancora capito fino in fondo che non saranno i muri a salvarci. Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio risponde così a chi non ha gradito la preghiera comune di cattolici e musulmani nelle chiese francesi e italiane domenica 31 luglio. L`iniziativa, nata in seguito all`assassinio di padre Jacques Hamel ucciso i126 luglio nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, è stata criticata sia da alcune comunità musulmane sia da vari cattolici, convinti che la Chiesa si stia mostrando troppo debole rispetto alla minaccia che arriva dall`estremismo islamico. Anche il rito che si è svolto nella basilica di Santa Maria in Trastevere, chiesa di riferimento della Comunità di Sant`Egidio, ha scatenato le critiche di chi non ha gradito la lettura del Corano fatta da parte di un imam.
Impagliazzo precisa: «Alla fine della Messa è stata data la parola ai due imam presenti i quali, per parlare di pace, hanno citato un versetto del Corano e lo hanno recitato cantilenando, come si fa nella tradizione islamica. Era una citazione, non una preghiera».
Professor Impagliazzo, la sensazione è che fra molti cattolici ci sia una grande voglia di muro contro muro. Nei momenti in cui girava la notizia dell`uccisione di padre Hamel, sui social si leggevano moltissime accuse al Papa e all`accoglienza verso gli stranieri da parte della Chiesa, perché, secondo lei?
«Queste manifestazioni di rifiuto vengono da chi guarda indietro e non guarda avanti. E guardare avanti oggi significa immaginare un mondo in cui le migrazioni non saranno mai fermate dai muri. Le migrazioni ci saranno comunque e tutti noi saremo destinati a vivere insieme. Dovremo farlo nel miglior modo possibile: accogliendoci, parlandoci, scoprendo chi è l`altro».
Eppure anche fra molti cattolici sembra diffondersi la voglia di rispondere alla violenza degli estremismi con nuove guerre di religione. «È una tentazione da respingere. Papa Francesco ci sta ripetendo che le guerre di religione non servono, non hanno senso. Io poi inviterei a guardarci attorno. Pensiamo a tutti i femminicidi che avvengono in Italia, in mezzo a noi c`è una violenza diffusa che non viene solo dall`esterno e dagli stranieri. La violenza è un demone che attacca il cuore di ogni uomo, non solo gli uomini religiosi fanatici. È un demone che ci attacca perché non siamo in pace, perché viviamo nella paura, perché siamo infelici, perché cerchiamo quello che non abbiamo».
Che bilancio trae dalle iniziative del 31 luglio? «Il bilancio è molto positivo se si tiene conto che è stata una manifestazione di solidarietà, di amicizia, di unità contro il terrorismo che ha coinvolto non soltanto i vertici delle comunità musulmane, ma anche il popolo. Naturalmente questa è l`espressione di un cammino che ha tanti anni di storia e che vive fuori dalla luce dei riflettori. Non si inventa da un giorno all`altro, è l`accelerazione di un cammino, l`emersione di una corrente profonda».
Che cosa avviene lontano dai riflettori? «La solidarietà con i più poveri diventa un terreno di incontro. Nelle nostre comunità in Europa tantissimi musulmani ci aiutano nella distribuzione del cibo nelle mense e nell`assistenza ai senza fissa dimora. Ci sono scambi di visite in ricorrenze come la fine del Ramadan, il Natale o la Pasqua. C`è la partecipazione di tanti musulmani alla marcia con cui ogni anno ricordiamo il rastrellamento degli ebrei del 16 ottobre i943 a Roma. C`è un terreno fertile dove ci si incontra e si dialoga per costruire un mondo migliore».
In questo contesto, che cosa si aspetta da “Sete di pace”, l`incontro di dialogo e preghiera tra le religioni e le culture che si svolgerà ad Assisi dal 18 al 20 settembre? «Non sarà solo un evento celebrativo del trentesimo anniversario dell`incontro del 1986. Insieme a grandi personalità (come il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, il rettore di Al-Azhar, ebrei europei e israeliani, il primate anglicano) vogliamo essere la voce dei poveri e delle persone che soffrono nelle guerre e nei conflitti. Sarà anche una occasione di autocritica, perché la violenza diffusa e i nostri pregiudizi verso gli altri dovranno spingerci a educare meglio le nostre comunità. Tutti dobbiamo lavorare e pregare di più per la pace».
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