Il recente incontro internazionale nello “spirito di Assisi”, il 36° dalla prima grande preghiera delle religioni mondiali voluta da Giovanni Paolo II nell’ottobre 1986, ha avuto una connotazione particolare a causa della guerra nel cuore dell’Europa, che riguarda anche gli altri continenti per le conseguenze economiche che si porta dietro e la minaccia nucleare incombente. Tanto che papa Francesco, nel suo intervento, durante la cerimonia finale dell’incontro al Colosseo, ha parlato non più di «terza guerra mondiale a pezzi», ma di vera e propria «terza guerra mondiale» che stiamo già vivendo.
Non a caso la Comunità di Sant’Egidio, che dopo quel primo incontro ad Assisi ne ha promossi ogni anno altrettanti in diverse città europee, ha proposto come titolo per questa edizione “Il grido della pace”. Sì, perché è necessario oggi “gridare” questa aspirazione per coprire il rumore assordante della guerra. E, soprattutto, per raccogliere l’anelito alla pace delle popolazioni che soffrono per il conflitto in Ucraina come per quelli ancora in corso in tante altre parti del mondo.
Dal 23 al 25 ottobre scorso, sono accorse a Roma circa 4 mila persone di tutte le età, tra cui molti giovani: per ascoltare, incontrarsi, parlare, pregare insieme agli oltre 200 rappresentanti delle religioni, delle istituzioni e del mondo della cultura, invitati all’incontro.
All’inaugurazione, davanti al capo di Stato francese Emmanuel Macron — che ha parlato delle religioni come “garanti” della libertà e del dialogo —, il presidente Mattarella, ricordando la drammaticità del momento, ha sottolineato la complessità del costruire la pace: «E un processo, non un momento della storia: ha bisogno di coraggio, di determinazione, di volontà politica e di impegno dei singoli». Ma ha anche evidenziato che «l’opera delle religioni e dei loro leader in questa direzione è fondamentale, a partire dal richiamo che uomini e donne sono “figli e figlie dello stesso cielo”».
Fu questa, ha rilevato Andrea Riccardi, la visione che ebbe papa Wojtyla convocando le religioni a pregare insieme per la pace, cioè una globalizzazione che fosse spirituale prima che economica e mediatica: «Le religioni, non l’una contro l’altra, ma insieme e che pregano per la pace. Una visione che superava l’ignoranza reciproca e i conflitti tra credenti. Era ancora il tempo della guerra fredda. Giovanni Paolo II guardò oltre e intuì che ogni religione, quando tende alla pace, dà il meglio di sé». Fu per Riccardi «un messaggio che preparava la globalizzazione nella prospettiva di un destino comune nella diversità».
“Il grido della pace” è stata anche, dopo le restrizioni di due anni di pandemia, una preziosa occasione di confronto su temi che sono nel cuore del nostro pianeta, attraverso i 14 forum organizzati al centro congressi “La Nuvola” dell’Eur a Roma: dibattiti su argomenti che spaziavano dalla costruzione della pace al dialogo tra le religioni, dalla crisi ambientale alle migrazioni, seguiti da centinaia di persone, provenienti non solo dall’Italia ma anche da altri Paesi europei.
La cerimonia fmale, con la preghiera dei cristiani per la prima volta all’interno del Colosseo, ha visto la partecipazione di papa Francesco, che si è rivolto con parole gravi non solo ai presenti ma al mondo intero: «Si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare: che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato». Di fronte a questo cupo scenario, nota Francesco citando il profeta Geremia, il disegno di Dio però non cambia perché «è un progetto di pace e non di sventura». «Qui trova ascolto la voce di chi non ha voce; qui sì fonda la speranza dei piccoli e dei poveri: in Dio, il cui nome è Pace. […] Ma questo dono dev’essere accolto e coltivato da noi uomini e donne, specialmente da noi, credenti. Non lasciamoci contagiare dalla logica perversa della guerra; non cadiamo nella trappola dell’odio per il nemico». Sperare, pregare e mettere al centro del bene comune la necessità del dialogo. Come fece Giovanni XXIII di fronte alla crisi di Cuba di 60 anni fa tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
Un “grido di pace” che è risuonato con forza nell’appello finale, firmato da tutti i leader religiosi, a partire da Francesco, e letto al Colosseo dalla giovane Elissar, siriana, venuta dal Libano con la sua famiglia grazie ai corridoi umanitari: «Siamo di fronte a un bivio: essere la generazione che lascia morire il pianeta e l’umanità, che accumula e commercia armi, nell’illusione di salvarsi da soli contro gli altri, o invece la generazione che crea nuovi modi di vivere insieme, non investe sulle armi, abolisce la guerra come strumento di soluzione dei conflitti e ferma lo sfruttamento abnorme delle risorse del pianeta». E quindi: «Con ferma convinzione diciamo: basta con la guerra! Fermiamo ogni conflitto. La guerra porta solo morte e distruzione, è un’avventura senza ritorno nella quale siamo tutti perdenti. Tacciano le armi, si dichiari subito un cessate il fuoco universale». E’ la speranza dei credenti ma, crediamo, in questo momento della storia, anche quella di tutti i popoli.
Commenti chiusi
I commenti per questo post sono chiusi.