Un Nobel di pace in terre di guerra. Marco Impagliazzo su “La Nuova Sardegna”

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L’assegnazione del premio Nobel per la pace è il momento dell’anno in cui maggiormente si è spinti a riflettere su chi si spende, anche a scapito di personali sofferenze, a promuovere la pace.Il Comitato del Nobel ha guardato a quelle terre dove ormai da 7 mesi infuria un conflitto sanguinoso e drammatico per le sorti del mondo. Senza tralasciare la difesa dei diritti umani, troppo spesso calpestati.
Questi due grandi temi hanno suggerito il conferimento dei tre Nobel per la pace assegnati ieri a Oslo. Si tratta di tre realtà diverse, anche se geograficamente molto vicine, nel triangolo geopolitico più problematico attualmente nel nostro pianeta, quello tra Russia, Bielorussia e Ucraina. Prima di tutto la realtà di un uomo, Ales Bialiatsky, 60 anni, bielorusso, che ha conosciuto per ben 25 volte la prigione e che è tutt’ora agli arresti, nel seminterrato di un penitenziario di massima sicurezza, in attesa di processo dal 2020, come racconta Visna, l’associazione che ha fondato nel 1996 a Minsk. Un nome che significa “primavera”.
È la quarta volta che viene assegnato un premio Nobel per la pace a una persona incarcerata. Si aggiunge infatti a quelli conferiti nel lontano 1935 al giornalista tedesco Carl von Ossietzy, nel 1991 alla birmana Aung San Suu Kyi e, ne12010, al cinese Liu Xiaobo. Ventisei anni di battaglie per i diritti umani nel suo paese, dove hanno vissuto o vivono ancora la stessa condizione carceraria centinaia di oppositori, dopo l’inizio, nel 2020, delle proteste di piazza di quella che venne chiamata, appunto, “primavera” della Bielorussia.
Mentre l’alto riconoscimento a Bialiatsky premia, in particolare, le campagne per i diritti civili portate avanti da una persona, quella al russo Memorial e all’ucraino Center for Civil Liberties pone al centro dell’attenzione mondiale il percorso di due realtà associative. La prima, russa, ha una lunga storia che affonda le sue radici nell’Unione Sovietica. La data di fondazione risale infatti al 1987, quando esisteva ancora l’Urss e non era ancora caduto il Muro di Berlino. Allora denunciava le atrocità commesse nei gulag sovietici, ma anche dopo la fine della guerra fredda ha continuato a segnalare le ingiustizie in corso nella Federazione Russa, tanto da essere sciolta nel 2021 con l’accusa di “agente straniero”.
Il “Centro per le libertà civili” dell’Ucraina ha vita più breve. Fondato nel 2007, si è occupato di monitorare le persecuzioni nella Crimea occupata dai russi e, dal 2014, nelle regioni orientali del Donbass chiedendo più volte a Mosca il rilascio dei prigionieri. Un’attività che è continuata fino ai giorni nostri, cioè durante un conflitto che, come tutti i conflitti, si porta appresso ingiustizie e orrori. Ed è proprio da qui che occorre ripartire, dalla necessità di fermare il più presto possibile il confronto militare tra Russia e Ucraina che rischia di trasformarsi in minaccia per il mondo intero a causa dell’arsenale atomico che potrebbe essere messo in gioco.
La presidente del comitato del Nobel, Berit Reiss-Anderson, rendendo note le motivazioni dei premi, ha sottolineato che le tre realtà, in modo diverso ma con lo stesso spirito, «hanno onorato una visione di pace e fraternità di cui c’è grande bisogno nel mondo di oggi». Ha parlato di «tre campioni dei diritti umani, della democrazia e della coesistenza pacifica». Parole da leggere anche come un forte appello alla comunità internazionale perché faccia ciò che non è finora riuscita a fare, cioè almeno un cessate il fuoco per aprire uno spiraglio alla pace. Prima che sia troppo tardi. E non lo è mai se si tratta di salvare vite innocenti, prima di tutto quelle delle popolazioni civili. Ma anche degli stessi soldati, a migliaia morti, in giovane età, un numero di cui non si hanno i reali contorni, ma che alcuni osservatori stimano — per i russi — già superiore di ben quattro volte, in soli sette mesi, rispetto ai militari sovietici morti in Afghanistan durante un decennio. Cifre che fanno riflettere e che gridano alla pace.

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