In dialogo nella città eterna. «Siamo dentro una gabbia, senza la mediazione e la diplomazia europee nessuno immagina una soluzione alternativa alla guerra», dice Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio e storico del cristianesimo. Ieri all`Auditorium Parco della musica di Roma si è aperto l`incontro internazionale “Osare la pace” che sarà concluso domani al Colosseo dalla preghiera con Leone XIV e gli altri leader delle religioni. 22 forum con 10 mila partecipanti e 400 delegati da tutto il mondo tra i quali il capo dei rabbini europei Pinchas Goldschmidt, il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al Tayyeb.
La pace sembra utopia.
«Solo il coraggio di immaginare la pace permette di uscire dall`età della forza e da una narrazione a senso unico: quella di un mondo preso in ostaggio delle logiche di guerra. In questi anni le religioni hanno mostrato un volto nuovo, affrancandosi dall`odio. Lo spirito di Assisi le ha liberate dalle ambiguità e dalla trappola delle contrapposizioni».
Esiste la “guerra santa”?
«No, solo la pace è santa. C`è stato un cambiamento profondo nei rappresentanti ufficiali delle fedi. Nessuno di loro parla più di guerra santa. Restano estremismi e tragiche caricature delle religioni ma i leader hanno preso le distanze da atteggiamenti e discorsi di violenza. La maggioranza delle vittime del terrorismo cosiddetto islamico sono musulmani (Iraq, Siria, Libano)».
Ucraina: l`Ue è marginale?
«Una drammatica assurdità perché Ucraina e Russia sono in Europa. Noi europei abbiamo il “know how” della pace, conosciamo l`arte della diplomazia e le vie della mediazione. Siamo usciti dalla guerra mondiale attraverso l`Ue, con la riconciliazione franco-tedesca. Abbiamo una storia, sappiamo come fare la pace».
E il ruolo della Santa Sede?
«Uno spazio di umanità, pace, dialogo: la Santa Sede siede all`Onu. Il problema è se gli attori che si combattono ne riconoscono il ruolo. La Chiesa è esperta in umanità, ha mediato efficacemente in crisi come quella tra Cile e Argentina sul canale di Beagle. Può essere luogo di incontro. È l`istituzione che ha sempre creduto al dialogo, soprattutto dopo il Concilio. Compie missioni umanitarie in guerra, come in Ucraina il cardinale Matteo Zuppi, inviato papale. Ecumenismo, aiuti alle popolazioni e dialogo interreligioso le danno il titolo per negoziare».
Perché “Osare la pace” ora?
«Per mettere allo stesso tavolo leader religiosi, umanisti, personalità della politica e dell`economia così da rafforzare la voce delle milioni di vittime delle 59 guerre in corso. A Roma portiamo le istanze dei popoli che soffrono nei conflitti: un appello collettivo alla diplomazia e ad osare la pace alla cui origine per noi cristiani c`è la preghiera. Realtà come Sant`Egidio dimostrano che la pace è possibile lavorando nelle periferie metropolitane e nelle trattative internazionali: Mozambico, Centrafrica, Costa d`Avorio. Non è un discorso irenico, abbiamo esperienza e credibilità. Gesù dice: beati i costruttori di pace. Una comunità cristiana ha energie da spendere. Lo viviamo».
Intanto l`Europa si riarma.
«Dobbiamo puntare alla difesa comune che era alla radice dell`Ue. Va attualizzata al terzo millennio la fallita comunità europea di difesa. Andare in ordine sparso ci costa rendendoci più deboli. L`Europa deve spendersi a livello politico e diplomatico. Farlo sotto traccia danneggia la pace. L`Ue può dare un fondamentale contributo a una mondo polarizzato che è preda della logica delle contrapposizioni. Abbiamo scelto il titolo “Osare la pace” perché viviamo tempi in cui la guerra è tornata ad essere la triste compagna della vita di milioni di uomini e donne. Eppure, per noi la pace è sempre possibile: nel mondo ci sono spiragli che si stanno aprendo e vogliamo allargarli, dar voce e ossigeno».
Cosa serve oggi allapace?
«La pace si intreccia con le grandi sfide globali: la povertà, un`economia più umana, l`accoglienza dei migranti, la memoria dei martiri e la preghiera interreligiosa. A Roma si esprime il desiderio profondo dei popoli di vivere in pace. Osare la pace significa non rassegnarsi a un mondo in guerra, ma credere che un domani diverso è possibile. Osiamo la pace in un frangente nel quale tutto sembra dire il contrario. Occorre invece unire gli sforzi, mobilitare tutti nel mondo della politica, della cultura, della società e i leader religiosi. Va rafforzata la consapevolezza che il nostro deve diventare un destino di pace. La pace è un sogno, una nuova prospettiva, mentre la narrativa degli ultimi anni è stata soltanto di guerra».
Qual è l`alternativa reale?
«Vogliamo immaginare la pace, costruirla, proprio mentre sono in atto conflitti. Occorre ridare forza alle istituzioni internazionali, soprattutto all`Onu. Il messaggio che è arrivato da Sharm el Sheik è che la pace è ancora possibile, ma bisogna cercarla. In Medio Oriente, in Europa orientale, in Africa, in Asia. Bisogna parlare di pace sempre, senza mai rassegnarsi anche quando i tempi sono bui. La pace va inseguita anche quando tutti attorno dicono che è impossibile, ingenuo o inutile. I leader religiosi mettono forza, intelligenza, fede: mai arrendersi alla guerra. Abbiamo visto in questi mesi tanti giovani manifestare per la pace ed è bello che si torni a pensare la pace, a gridare il desiderio di pace anche al di là di strumentalizzazioni. Esiste una domanda di pace spesso inascoltata».

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