Avvenire, 8 febbraio 2014
L’Italia e l’Africa. Negli scorsi decenni il rapporto tra queste due zone del pianeta è stato solo un esile ponte gettato tra mondi distanti. Un ponte di simpatia – il terzomondismo, la cooperazione, la mediazione, la grande opera dei missionari –, di interessi concreti – la ricerca e lo sfruttamento di materie prime –, di paure – il caos, l’immigrazione –. L’Africa è sempre stata lì, di fronte a noi. Ma ultimamente considerata troppo lontana e diversa. Ebbene, può essere questa, oggi, la nostra visione del continente? O non si tratta di accettare finalmente il fatto che il mondo è cambiato, che è più complesso e più interdipendente? Questo vale anche per l’Italia.
Un recente rapporto realizzato dall’Ispi (Istitito per gli studi di politica internazionale) per il Ministero degli Esteri, da qualche tempo disponibile in rete, dal titolo “La politica dell’Italia in Africa”, intende appunto agevolare l’apertura di una via nuova per il nostro Paese, di vicinanza e di collaborazione con questo Sud del mondo. Non solo e non tanto sul piano del supporto allo sviluppo, bensì in una logica win-win, cioè di vantaggi reciproci, di mutua crescita, di convergenza di interessi economici e culturali.
Il rapporto parte dai profondi mutamenti che l’Africa sta vivendo: «Sei delle dieci economie che hanno marciato più rapidamente nel decennio 2001-10 sono Paesi subsahariani, con tassi medi attorno all’8%». Ciò apre nuove opportunità per il Bel Paese e chiede di individuare e specificità dell’approccio italiano al continente per gli anni a venire.
L’Africa non è più quella di un tempo. Ha vissuto una mutazione antropologica: i nuovi africani sono più istruiti dei loro genitori, più mondializzati, più desiderosi di contare. I problemi restano, ma l’Africa è parte del villaggio globale, del mercato mondiale, non è solo un giacimento a cielo aperto. E in questa nuova Africa l’Italia può trovare un suo spazio, per esempio con le piccole e medie imprese, un tipo di know-how molto apprezzato a nord e a sud del Sahara: «Esistono ampi spazi per operazioni di collaborazione industriale strategica in cui l’Italia e le aziende italiane possono assumere un ruolo di guida e orientamento dei relativi processi decisionali, generando opportunità per esportazioni e investimenti». Eppure scontiamo la timidezza culturale nel considerare l’Africa parte di un orizzonte più largo, euroafricano. Sebbene la Chiesa abbia sempre sostenuto l’idea di una comunità di destino tra l’Europa e l’Africa.
In una stagione di crisi, in un contesto che sta rimodellando le tradizionali gerarchie geopolitiche del Pianeta, non ci si può rinchiudere in gusci più o meno consolatori, né far finta che vaste zone del mondo semplicemente non esistano. È il momento di rilanciare l’economia nazionale “agganciandola” all’espansione economica del Sud del mondo, proponendosi come partner di una nuova visione interdipendente in cui tutti potranno e dovranno fare leva sui punti di forza di ciascuno.
Occorre, insomma, aprire gli occhi sul tempo che stiamo vivendo, svecchiando approcci che non hanno più ragione d’essere, rispondendo al desiderio di futuro che tanto l’Italia quanto l’Africa esprimono, più apertamente loro, più confusamente noi: un desiderio di futuro che chiede un cambiamento coraggioso e lungimirante. È una sfida per un Paese come il nostro, impaurito, tante volte vittimista e provinciale. Ma è una sfida che può essere vinta, in linea con le nostre migliori tradizioni. Perché l’Italia è una nazione troppo grande, per storia, cultura, creatività, per essere condannata al provincialismo.
Dobbiamo riflettere di più sul ruolo dell’Italia nel mondo. Il salto da compiere è mentale e culturale, innanzitutto. Come sottolinea il rapporto Ispi, una priorità è «la costruzione di una “nuova narrativa” sull’Africa subsahariana, rovesciando la diffusa percezione di un insieme indistinto di Paesi instabili ed economicamente depressi, per “raccontare” invece di un’Africa che offre importanti opportunità economiche».
Ma forse un passaggio del genere è oggi più facile. In un tempo in cui papa Francesco invita a guardare dalle periferie per capire meglio la realtà, un approccio originale, può essere la via per sfuggire al “declinismo”, per scrivere un’altra, positiva pagina di storia per il nostro Paese.
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