Kiev, capitale di 3 milioni di abitanti, in Europa, distante via terra da Trieste quanto Aosta da Palermo, è luogo di battaglia per la sua conquista. La popolazione civile, inerme, vive in una condizione di terrore, trova riparo nei rifugi sotterranei. I più deboli, anziani e senza dimora, sono più vulnerabili. Già ci sono già le prime vittime civili. Ma non è giusto abbassare le braccia e non è mai troppo tardi per la pace.
Dire – come, più passano le ore, si continua a ripetere – «siamo alla resa dei conti», «occorre prepararsi al peggio», «non c’è più spazio per una trattativa», è il più grave errore che si può fare. Un errore che può costare molto caro, non solo per le popolazioni ucraine, che soffrono ingiustamente per un conflitto che non hanno scelto, ma per noi tutti. La guerra non è un gioco e chi ci gioca pericolosamente, anche se da lontano, fa male a sentirsi al sicuro.
Perché se oggi, dopo una pace che è durata oltre 70 anni, l’Europa si è risvegliata con i missili che colpivano una delle sue città più ricche di storia, allora tutto – purtroppo – è possibile. Occorre porre un argine al precipitare degli eventi. Subito. E bisogna partire proprio da Kiev, città che rappresenta un grande patrimonio culturale -per il nostro continente.
Non si può pensare alla cultura europea, alla storia dell’Europa senza Kiev. Ma il paradosso è che non si può pensare anche alla cultura russa, alla storia della Russia, senza Kiev. Kiev è infatti una città santuario per tanti cristiani e in primo luogo per i cristiani ortodossi ucraini, bielorussi, russi. A Kiev ha avuto inizio la storia di fede di quei popoli. Lì è nato il monachesimo ucraino e russo. Il grande monastero della lavra delle grotte che, sulla collina sovrasta il grande fiume Dnepr, è un luogo di pellegrinaggio e preghiera millenario. E quindi una città preziosa per tutto il mondo cristiano.
Pochi ci hanno pensato in questi giorni, forse troppo pochi hanno considerato in Italia, in Francia o Germania, di essere legati a quella città. Ma il destino di Kiev ci coinvolge e ci tocca. Come ci interessano da vicino le sorti della popolazione ucraina, certamente per motivi umanitari, ma anche economici e familiari. Basta pensare a quante donne ucraine (spesso laureate o con competenze elevate) lavorano nelle nostre famiglie assistendo i nostri parenti più fragili. Tanti italiani le hanno viste in queste ore piangere per la lontananza dai loro figli o dei loro parenti rimasti in Ucraina. E ora tutte loro e tutti noi abbiamo gli occhi fissati su Kiev perché nelle sofferenze di quella città è racchiuso il dolore anche di tutte le altre città e campagne del paese da cui vengono queste lavoratrici a cui dobbiamo molto.
Non possiamo restare indifferenti. Dopo Sarajevo in Bosnia, Aleppo in Siria, non possiamo assistere nuovamente all’assedio di una grande città senza far niente. Erano quasi vent’anni che non si scendeva più in piazza per la pace. Lo si è fatto finalmente, anche a partire dall’impulso di un articolo su questo giornale. Certo, non con la partecipazione di massa conosciuta prima della guerra in Iraq nel 2003. Ma con il passare dei giorni si moltiplicano le manifestazioni piccole e grandi.
Qualcosa si muove. Occorre però fare in fretta. E a fare passi nella direzione della pace devono essere, prima di tutto, i responsabili delle nazioni, coloro che potrebbero fermare un’escalation dagli esiti imprevedibili. Per questo ci deve interessare il destino di Kiev, per questo occorre seguire da vicino la sua sorte, far sentire la nostra vicinanza.
La Comunità di Sant’Egidio con Andrea Riccardi ha lanciato un appello, che è stato consegnato alle ambasciate russe e ucraine: «Proclamiamo Kiev città aperta». Come lo fu Roma durante la seconda guerra mondiale. Preserviamola dai bombardamenti e dalla battaglia quartiere per quartiere. Gli abitanti di Kiev ci chiedono un sussulto di umanità. E sembra gridino anche le sue pietre, un patrimonio culturale ora esposto al rischio di distruzione. Chiediamolo con forza a chi può decidere di fare un passo indietro sull’uso delle armi, di dichiarare il cessate il fuoco nella città, di non colpire più i suoi abitanti, di non violare una città a cui oggi guarda l’umanità intera. Non rassegniamoci alla guerra. Mai. Il prezzo da pagare sarebbe troppo alto per tutti.
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