Radiovaticana, 19 dicembre 2014
di Fabio Colagrande
“Papa Francesco, come il suo predecessore Benedetto XVI, e come S. Giovanni Paolo II, mostra una grande attenzione per il tema dei nuovi martiri. E’ un tema sempre più presente nella vita della Chiesa, com’era stato bene evidenziato durante il Giubileo del 2000. Oggi molti cristiani soffrono nel mondo ed è molto importante ricordare la loro sofferenza e vivere la grande comunione della Chiesa a cui il Papa ci richiama”.
Marco Impagliazzo, storico e presidente della Comunità di sant’Egidio, commenta le parole del Papa all’Angelus della giornata dedicata al primo martire della Chiesa, Santo Stefano, e il suo invito a pregare “per quanti sono discriminati, perseguitati e uccisi per la testimonianza resa a Cristo”. “La festa del Natale è seguita, dal giorno in cui si ricorda il Santo Protomartire”, sottolinea Impagliazzo. “D’altronde anche nel racconto della Nascita di Gesù c’è un seme di violenza, come si vede nella strage degli innocenti ordinata da Erode. Gesù che nasce è un seme di contraddizione. La sua vita è un segno di contraddizione. E segno di contraddizione rappresentano oggi i cristiani in tante società, per il fatto che sono portatori della logica dell’amore di Dio”.
2014, anno di persecuzioni
“Il 2014 – ricorda il presidente della Comunità di sant’Egidio – è stato un anno particolarmente drammatico per le persecuzioni subite dai cristiani in Iraq, Siria, Pakistan e altri paesi dell’Asia”. “Lo stile di vita dei cristiani, ispirato all’amore, dà fastidio in società in cui la violenza, la divisione e la sopraffazione sembrano essere l’unica legge”. “In questo senso – prosegue Impagliazzo – i cristiani portano anche una grande testimonianza di carità, dialogo, incontro e voglia d’unità. Unità che spesso il mondo non riconosce perché si preferisce la divisione, se non addirittura la guerra”.
La coerenza dei cristiani
All’Angelus del 26 dicembre il Papa ha ricordato che seppure non tutti i cristiani sono chiamati, come santo Stefano, a “versare il proprio sangue”, “ad ogni cristiano però è chiesto di essere coerente in ogni circostanza con la fede che professa”. “I cristiani debbono vivere come discepoli, alla sequela di Gesù, dunque devono essere coerenti soprattutto al comandamento dell’amore, che è il più importante che ci è stato dato”. “La nostra grande coerenza deve essere quella dell’amore verso Dio, i fratelli e il nostro prossimo”.
Assicurare la libertà religiosa
Il Papa ha anche pregato perché in ogni parte del mondo si rafforzi l’impegno per “riconoscere e assicurare concretamente la libertà religiosa”, definita “diritto inalienabile di ogni persona umana”. “Si tratta di un principio fondamentale del magistero pontificio”, ricorda Impagliazzo. “E ciò è segno di come la Chiesa cattolica abbia vissuto un aggiornamento profondissimo. Il tema della libertà religiosa fu infatti una delle conquiste del Concilio Vaticano II. Tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, i cattolici hanno fatto della libertà religiosa una loro bandiera. Il rispetto della propria fede, la libertà di professarla, è per noi ciò che sta nel cuore della vita di tanti uomini e donne al mondo. Noi non difemdiamo solo la libertà religiosa dei cattolici, ma quella di tutti. Perché sentiamo che in una vita religiosa, corrispondente ai principi dei libri sacri di ogni religione, ci può essere il fondamento dell’unità del mondo”.
La cultura dell’incontro
“L’impegno per il rispetto di questa libertà deve far riferimento, innanzitutto, alla grande istanza internazionale delle Nazioni Unite. Un’idea, unica al mondo, che va difesa”, conclude Impagliazzo. “Ma bisogna anche continuare ad impegnarsi perché le religioni non siamo elementi di divisione ma di unità. Il tema del dialogo interreligioso, il tema dello Spirito d’Assisi, resta una grande arricchimento per il mondo. E questo incontro fra religioni, che si sta moltiplicando nelle nostre società per la presenza di tanti immigrati, è un incontro fecondo”. “Quindi la grande testimonianza che noi possiamo dare è soprattutto questa: non smettere mai di credere nella cultura dell’incontro”.
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