Il profeta Isaia ci mostra un ideale di vita: «Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cent’anni». La pienezza della vita – in questo passaggio della Scrittura – si raggiunge da anziani, a cent’anni. Oggi è possibile raggiungere questa età anagrafica, ma non sempre essa si accompagna alla pienezza (che comprende senz’altro la pace) che la parola biblica esprime. La lunga vita, nella Bibbia, è una benedizione. Non altrettanto nella nostra cultura. Potrà divenirlo se maturerà una consapevolezza comune, da tradurre in programma sociale: non è solo una questione religiosa e culturale. Senza tutto questo la benedizione dei cent’anni può tramutarsi in una maledizione.
La terza Giornata Mondiale dei nonni e degli anziani, voluta dal Papa, che si celebra oggi, ha un titolo significativo: “Di generazione in generazione la sua misericordia”. La bontà del disegno di Dio si manifesta a ogni generazione e di generazione in generazione si trasmette. Per questo Francesco richiama sovente la ricchezza insita nell’incontro tra i giovani e gli anziani. È un richiamo decisivo per il futuro delle nostre società che invecchiano e, spesso, lasciano soli i vecchi. Che in Italia sono un intero popolo, quattordici milioni di persone con più di 65 anni, nove dei quali vivono da soli o in coppia. A molti di loro la società non riesce a fornire risposte adeguate. Gli investimenti sociali e umani sono scarsi e il rischio di trascorrere gli ultimi anni della vita lontano da casa, nella solitudine amara degli istituti, è alto.
Nel contesto contemporaneo la vita lunga non sempre è una benedizione, mentre nel passato la lunga esperienza di vita rappresentava un grande valore. Gli anziani erano considerati saggi. Oggi si pensa che siano altre le età della vita da valorizzare, e la domanda su come ricomprendere e riaffermare il valore della vecchiaia costituisce una delle grandi questioni umane e sociali della contemporaneità. Una riprova di questa necessità sembra provenire anche da contesti più lontani, come il continente africano, dove per molte generazioni si è ritenuto l’anziano il depositario della saggezza e della storia della comunità, elemento indispensabile di equilibrio e di garanzia: «Quando un vecchio muore, è una biblioteca che brucia», si diceva.
Oggi tale consapevolezza sembra offuscata. Nelle metropoli, così come nei villaggi, gli anziani, sempre più numerosi nonostante le carenze dei sistemi previdenziali e sanitari di quei Paesi, cominciano a essere considerati estranei, stranieri, addirittura pericolosi. Ciò che molti non riescono a vedere è che nella vecchiaia non si vive di meno, ma si vive diversamente. La terza e quarta età può essere il tempo della disponibilità, una dimensione assai rara nelle nostre vite tanto occupate.
Il tempo, cioè, per dedicarsi agli altri, fossero anche soltanto i propri familiari più giovani. Ci sono tante cose che si possono fare per gli altri, dal più piccolo gesto alla più grande dedizione. Gratuitamente. Arrigo Levi ha scritto qualche anno fa sull’argomento parole illuminanti: «C’è più tempo per amare, nella terza età e nella vecchiaia. Più di quanto ne abbiamo mai avuto prima. C’è forse anche più bisogno di amare e di essere amati. Alcuni legami d’amore, se così vuole la cattiva sorte, si spezzano, e può sembrarti che non valga più la pena di stare al mondo. Ma si offrono, in modo anche imprevisto, nuove occasioni per dare prove di amore a chi ci è vicino e bisogna coglierle. Nella mente e nel cuore c’è in realtà più spazio per l’amore – e anche per far rinverdire l’amore – di quanto ci sia mai stato prima».
Papa Francesco ha parlato della vecchiaia come stagione del dono e del dialogo. Una stagione in cui vivere la dimensione della gratuità e quindi dell’intelligenza del cuore. Egli vede gli anziani «portatori non solo di bisogni, ma anche di nuove istanze, o riecheggiando la Bibbia, di sogni – che gli anziani siano dei sognatori – sogni però carichi di memoria, non vuoti, vani, come quelli di certe pubblicità; i sogni degli anziani sono impregnati di memoria, e quindi fondamentali per il cammino dei giovani, perché sono le radici». Gratuità, dono, ma anche dialogo tra le generazioni.
Il messaggio è proprio questo: si può e si deve guardare in modo nuovo alla vecchiaia. È il tempo della libertà, dei rapporti gratuiti, il tempo dell’amore e dell’amicizia disinteressata, il tempo per venire a patti con la nostra debolezza e aiutare anche chi non è anziano a non averne paura. È l’età che riporta in alto il primato dell’essere sull’avere e che ha tanto da insegnare alle nostre società, globalizzate ma al tempo stesso così povere di punti di riferimento.
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