Papa Francesco, a quasi ottantotto anni, sta compiendo il viaggio più lungo del pontificato per incontrare le Chiese e i popoli di Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore. Rotte lontane dai luoghi di guerra e di scontro di potere su cui è concentrata oggi l’attenzione globale, ma scelte proprio perché – come ha sempre detto Francesco – la realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro.
La prima tappa è in Indonesia, il più popoloso Paese musulmano al mondo, dove vive una minoranza cattolica di circa il 3% della popolazione, altre Chiese cristiane e diverse minoranze religiose. La via intrapresa nei decenni successivi all’indipendenza dai Paesi Bassi, nel 1949, ha come fondamento la cosiddetta Pancasila, cioè un sistema politico e sociale basato su “Unità e pace nella diversità”. È una via che, nel tempo della globalizzazione, ha ancora molto da dire al nostro mondo, che avrà un futuro soltanto se apprenderà l’arte del vivere insieme.
Si tratta di un modello vivo di convivenza e di pace per un grande e complesso Paese, con più di 270 milioni di abitanti, composto da migliaia di isole. Tali principi fondamentali non sono rimasti lettera morta. Dal punto di vista della convivenza tra diversi l’Indonesia costituisce uno degli esempi più significativi nella storia degli Stati nazionali dalla seconda metà del XX secolo a oggi. Se il Papa ha deciso di visitare questo Paese è anche perché è cosciente che questo sistema vada salvaguardato dai venti del nazionalismo e dagli estremismi politici e religiosi. E’ una scelta significativa se si pensa al fumo di pessimismo che impregna, a livello globale, la stagione che stiamo vivendo.
Ci sono – è vero – seri motivi che giustificano il pessimismo: c’è la violenza terroristica e quella criminale, in un mondo che è ormai, per più di metà della sua popolazione, urbanizzato. C’è la violenza della guerra, nobilitata troppo facilmente a strumento normale e ineluttabile per risolvere i conflitti. Ma purtroppo pessimismo e rassegnazione fanno crescere nei popoli una paura che non si limita a un sentire diffuso: diventa politica e si concretizza nell’incapacità di concepire disegni di ampio respiro che siano in grado di rendere migliore un paese e il mondo. La paura diventa cultura, cultura del disprezzo per l’altro, troppo spesso odiato solo perché appartenente a un’altra religione o a un’altra etnia, insomma “diverso”.
La presenza del Papa in Indonesia apre una riflessione sul tema della convivenza possibile a partire dal ruolo delle religioni, secondo un approccio che potrebbe apparire paradossale a quanti leggono la realtà in maniera semplificata valutando le religioni solo come un fattore di violenza o di separazione piuttosto che di costruzione di una società del vivere insieme. Lo ha detto lo stesso Francesco a Giacarta: «La vostra identità è uniti nella diversità. Le differenze contribuiscono a formare un magnifico mosaico». Perché «sono l’estremismo e l’intolleranza a distorcere la religione con l’inganno e la violenza». Frutto di semplificazioni che attraversano le nostre società e che spesso divampano all’interno di una stessa civiltà.
Che cosa vogliono e possono oggi gli uomini e le donne delle varie religioni? Essi si confrontano sempre di meno con ambienti a loro omogenei, composti da fedeli e culture affini. Nel nostro tempo genti di religioni o etnie diverse vivono molto più vicine le une alle altre. In questo contesto le religioni non possiedono una forza politica tale da imporre la pace ma, trasformando l’uomo dal di dentro, invitandolo a distaccarsi dal male, lo guidano verso un atteggiamento di pace del cuore. Ogni religione ha la sua strada per raggiungerla. E gli uomini e le donne di fede conoscono quale grande risorsa costituisca la forza morale. Non sempre sono tutti a esserne all’altezza, ma ogni comunità religiosa, dovrebbe mostrare un volto umano e misericordioso, distanziandosi dalla terribile utopia delle “società perfette”, che le ideologie hanno cercato di forgiare nel XX secolo con risultati devastanti.
Commenti chiusi
I commenti per questo post sono chiusi.