«Occorre ricordare alle nostre comunità che sono al centro dell’intera opera pastorale»
«Sei tu, mio Signore, la mia speranza». Il titolo del Messaggio di Leone XIV per la Giornata mondiale dei poveri, citando il Salmo 71, riprende il tema del Giubileo dedicato alla speranza. E ne fa il cuore della sua riflessione, la prima di questo pontificato sui fragili e i periferici del mondo. Perché sono soprattutto i poveri a vivere la speranza in modo pieno, cioè l’ansia di un futuro migliore, di una condizione umana e sociale diversa da quella presente. Una «speranza che non delude», come recita la lettera ai Romani, quel capitolo quinto che tutti i pellegrini sono chiamati ad ascoltare in questo Giubileo prima di passare la Porta santa.
I poveri, in effetti, sono i primi pellegrini di speranza, marginali per il mondo ma non per la Chiesa, come sottolinea papa Leone nel suo Messaggio: «Occorre ricordare alle nostre comunità che sono al centro dell’intera opera pastorale». E non arrivano dopo gli altri, com’è invece abituale. Basta aprire i Vangeli, dove Gesù è sempre circondato da folle in cui primeggiano i poveri e i malati e dove, in Matteo 25, si immedesima in loro, ma anche ripercorre la storia e la tradizione della Chiesa: «Chiesa di tutti e in modo particolare dei poveri», come amava dire Giovanni XXIII.
L’ultimo pontificato, quello di papa Francesco, si è pienamente inserito attraverso tante iniziative, parole e segni, in questa corrente di misericordia verso i più fragili. I poveri, allora, sono protagonisti della vita della Chiesa, soggetto e non oggetto. Tanto che Leone sceglie di riprendere quel passaggio dell’Evangelii gaudium in cui si legge: «La peggiore discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale». È grave, in altre parole, pensare che ci sia una categoria di persone che non possa vivere pienamente il Vangelo. Al contrario i poveri sono i primi cercatori di “cieli nuovi” e di una “terra nuova”, come ricorda Leone nel suo Messaggio citando la Seconda lettera di Pietro e, insieme, anche le due città di sant’Agostino, quella degli uomini e quella di Dio, a cui occorre tendere già in questo mondo.
È interessante notare, a questo proposito, come il Papa insista sulla giustizia: «La povertà», sottolinea, «ha cause strutturali che devono essere affrontate e rimosse». Un appello diretto a chi più ha il potere di operare cambiamenti strutturali, cioè chi governa. Al tempo stesso, chiama tutti «a creare nuovi segni di speranza che testimoniano la carità cristiana». Perché la condizione dei poveri interpella tutti i cristiani personalmente: attraverso di loro è Gesù stesso che si fa presente.
Leone valorizza l’opera di tanti cristiani accanto ai poveri come segni di speranza: «le case-famiglia, le comunità per i minori, i centri di ascolto e di accoglienza, le mense per i poveri, i dormitori, le scuole popolari...». Il lungo elenco è come una fotografia delle opere che tante comunità cristiane sono state capaci, in passato e nel presente, di offrire come risposta alle diverse forme di povertà incontrate. Che, peraltro, sono molteplici per via delle grandi differenze esistenti tra Nord e Sud del mondo. Basta pensare al fenomeno dei “bambini di strada” in Africa e in America Latina o alle problematiche legate all’età anziana, molto diverse tra loro a seconda delle aree geografiche, per non parlare del fenomeno dell’immigrazione.
Ma Leone XIV si sofferma anche – senza citarla esplicitamente – su una particolare forma di povertà, quella dei senza fissa dimora, ricordando che ogni uomo e donna può cadere, per diversi motivi, in quella condizione: «Incontriamo persone povere o impoverite ogni giorno e a volte può accadere che siamo noi stessi ad avere meno, a perdere ciò che un tempo ci pareva sicuro: un’abitazione, il cibo adeguato per la giornata, l’accesso alle cure, un buon livello di istruzione e di informazione, la libertà religiosa e di espressione». Sembra la descrizione di una parabola ben conosciuta dai volontari che, in tante città, si avvicinano a chi vive per strada, portando da mangiare, cercando di aiutare chi si trova in difficoltà. Basta a volte perdere il lavoro, vivere un problema familiare o il lutto di una persona cara, per lasciarsi andare. Anche se fino a poco tempo prima si pensava di avere una vita “normale”.
Ciò che importa, sottolinea il Papa, è vincere l’indifferenza, farsi prossimo: «I poveri non sono un diversivo per la Chiesa, bensì i fratelli e le sorelle più amati, perché ognuno di loro, con la sua esistenza e anche con le parole e la sapienza di cui è portatore, provoca a toccare con mano la verità del Vangelo».
La Giornata mondiale dei poveri assume quest’anno un’importanza maggiore perché è all’interno del Giubileo, a novembre quasi alla sua conclusione. Una circostanza che chiama i cristiani a “non abituarsi e non rassegnarsi” di fronte al susseguirsi di “nuove ondate di impoverimento”, ma di promuovere con più incisività “il bene comune”.
Il Papa, infine, non trascura di indirizzare un preciso appello a chi ha responsabilità di governo: «Auspico che quest’anno giubilare possa incentivare lo sviluppo di politiche di contrasto alle antiche e nuove forme di povertà, oltre a nuove iniziative di sostegno e aiuto ai più poveri tra i poveri. Lavoro, istruzione, casa, salute sono le condizioni di una sicurezza che non si affermerà mai con le armi». Perché la pace è, comunque, l’indispensabile premessa di condizioni più favorevoli per i poveri in ogni parte del mondo.
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