La nostra storia e la centralità del Parlamento. Perchè abbiamo detto «no» al presidenzialismo

Dalla tragedia del nazifascismo alla rinascita repubblicana, le ragioni dei padri costituenti

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urono la tragica fine del nazifascismo, con il suo culto del Capo e l’orrore provocato da una guerra disastrosa, divenuta guerra civile, a spingere i padri costituenti, a scegliere per la ricostruzione morale e politica dell’Italia un modello di Repubblica che avesse come supremo vertice istituzionale il Parlamento. Non era una scelta scontata. Il presidenzialismo poteva essere un’altra opzione. Dieci anni dopo la Francia l’avrebbe fatta. E gli Stati Uniti d’America avevano nel Presidente l’espressione più alta della volontà popolare, seppur con i limiti dettati dai cosiddetti checks and balances.

In Italia si decise altrimenti. Pesava, dopo l’esperienza della dittatura, la preoccupazione per l’eccessiva concentrazione del potere. L’esecutivo doveva trarre la sua legittimità dall’assemblea degli eletti, cioè i rappresentanti del popolo, a cui era subordinato tramite un atto di fiducia. Il Parlamento si trovava così ad essere non solo l’espressione della piena sovranità popolare, ma anche il luogo dove si componeva l’indirizzo politico da dare al paese attraverso le leggi e la dialettica tra maggioranza di governo e opposizione. Non si esagera se si afferma che, nel lungo periodo che Pietro Scoppola avrebbe definito della “Repubblica dei partiti”, il Parlamento costituì la più alta scuola di politica per molte generazioni di italiani, dove scuole di pensiero, opinioni, visioni della società diverse, che confluivano appunto nei partiti, potevano esprimersi liberamente; e non raramente, nell’esercizio delle funzioni proprie del potere legislativo, riuscivano a superare ostacoli e divisioni per l’approvazione di leggi che avrebbero garantito un solido avanzamento democratico del paese.

Verso la metà degli anni Ottanta il clima cambiò: maturò una certa insofferenza per la durata di governi sempre più brevi, insieme alla stanchezza verso i riti parlamentari che sottintendevano la ricerca faticosa delle mediazioni. La nuova parola d’ordine fu: decisionismo. La crisi si aggravò con la svolta di Tangentopoli e la fine dei partiti storici. Emerse una nuova classe dirigente sempre più dipendente dalla volontà dei leader e, con il bipolarismo, si accentuò la contrapposizione tra gli schieramenti, rendendo sempre più inutile la ricerca di personalità in grado, per cultura, formazione, stile, di scavalcare gli steccati, allargare le aree di consenso, andare alla ricerca di soluzioni condivise.

Oggi, in un mondo diviso e conflittuale, prevale la forza degli esecutivi. E sono questi a dettare le leggi che i parlamenti, privati della sostanza del loro potere, debbono meccanicamente approvare o respingere. Ma la crisi del Parlamento è crisi della democrazia. Secondo il Global democracy index 2024 di The Economist, solo il 45% della popolazione vive in una democrazia e il 2024 è stato segnato da una disaffezione generale per i metodi democratici. L’effetto è un sentimento generale di disillusione per le istituzioni democratiche, che contribuisce al far crescere populismo, disimpegno politico e polarizzazione. Per questo, Federico Toniato, Segretario generale del Senato, con alle spalle incarichi prestigiosi nell’amministrazione dello Stato nonostante la giovane età, ha compiuto un’opera controcorrente e assai meritoria nel pubblicare e scrivere una densa prefazione al voluminoso Codice Parlamentare. Raccolta sistematica delle disposizioni rilevanti per l’attività parlamentare (ed. Senato della Repubblica e Lefebvre Giuffrè). Esso mette insieme tutte le deliberazioni che disciplinano l’organizzazione e l’attività delle Camere e i loro rapporti con gli altri organi costituzionali e fa luce sulla normativa variegata e complessa che ne disciplina l’azione, con uno sguardo allargato alle fonti sovranazionali e di altro genere.

Non è certo solo un atto di formale omaggio al Parlamento. È ben di più. È la riproposizione della centralità di un organo che è ancora espressione piena della sovranità del popolo, secondo quanto solennemente affermato nell’art. 1 della Costituzione. E che ben per questo ha bisogno di essere studiato, analizzato, sezionato, persino nei più minuti meccanismi di funzionamento. Ed è l’Autore stesso a scrivere che si tratta di «un’opera che viene dalla concreta vita dei lavori parlamentari, non per tornare – ad intra – nelle aule d’Assemblea e di Commissione e restarvi chiusa, bensì per uscire all’esterno e offrire – ad extra – il sostrato normativo di quel complesso di rapporti a chiunque ne abbia interesse». Ci si augura che gli interessati non siano pochi.

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