Siamo a settembre, la scuola riparte, con il suo fascino e le sue difficoltà. Almeno in Italia, perché non vogliamo dimenticare i milioni di bambini e bambine senza scuola, a Gaza, in Africa o in Asia, a causa delle guerre in corso o semplicemente per la povertà. E’ il tempo in cui ragionare di scuola.
Lo hanno fatto in molti in questi giorni, sollecitati dai recenti fatti di cronaca che hanno visto per protagonisti dei minori, come pure dalla nuova normativa emanata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito sull’uso dei telefoni cellulari, e infine dal confronto fra la spesa media Ue per la formazione scolastica e quella che interessa il nostro sistema. Qualcuno ha chiesto più psicologi in classe, altri più materie civiche, altri ancora più aumenti salariali e investimenti. Tutte cose che – ovviamente – potrebbero migliorare la scuola.
Mentre Goffredo Fofi, su II Manifesto, partendo da Paderno Dugnano, metteva in guardia dal vedere «l’intervento di psicologi e psicologhe» come un «toccasana», quasi la loro consulenza fosse «sufficiente a prevenire il disagio di giovani costretti a crescere in una società sempre più priva di ideali», Massimo Cacciari, su La Stampa, invocava l’impostazione di una nuova politica scolastica, che si liberasse di «formulari, schede, ciarpame metodologistico e pseudo-tecnico», di «pedagogismo, retorica sul digitale, campionari dolciastri di politically correct», per tornare a un’«autentica didattica. Quella fondata su contenuti reali, autori, testi». Cioè, una scuola non più «liquida», per utilizzare la felice metafora di Bauman, ma «solida» e, soprattutto, non più alla rincorsa delle mode del momento.
Che non vuol dire nostalgia del passato. Siamo sicuri infatti che i nostri giovani, più fragili e ansiosi di una volta, alle prese con le «passioni tristi» di cui ci hanno parlato Benasayag e Schmit, con l’affievolirsi di sogni e stimoli collettivi e con un orizzonte esistenziale che esalta l’apparenza e il narcisismo, abbiano bisogno di un’ulteriore medicalizzazione, e non invece di quel respiro largo che solo la memoria e gli ideali del patrimonio culturale possono dar loro? E che gli stessi docenti, alle prese con mancanza di autorevolezza, costretti a muoversi tra un tutoraggio e l’altro, non ne avrebbero sollievo? In questo mondo spesso indecifrabile, pieno di solitudini, in cui siamo tutti più smarriti ed impauriti, non sarebbe male recuperare la centralità e la linearità di una lezione che dia certezze, indichi una strada, costruisca il futuro.
La proposta di Cacciari può sembrare un ritorno al passato, ma è forse, invece, il modo per restituire solidità e prospettiva ai figli di una società liquida. In fondo è stato sempre il segreto di ogni scuola fondarsi sulla pietra di valori condivisi e meritevoli di essere tramandati, sulla forza di quel rapporto unico che si instaura tra docente e discente: «Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera, il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti», è scritto in Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani. È così che una generazione spaesata, tante volte abbandonata a se stessa, cresciuta con pochi legami e riferimenti potrà trovare qualcosa per cui spendersi e su cui scommettere: «Quel che resta della Scuola è la funzione insostituibile dell’insegnante, (…) il vero cuore della Scuola è fatto di ore di lezione che possono essere avventure, incontri, esperienze intellettuali ed emotive profonde», scrive Massimo Recalcati ne L’ora di lezione.
La scuola ha un’anima materna. Non è solo un coacervo di scadenze e di problemi. Non si muove solo su un orizzonte segnato dalle risorse che mancano. E’ un lavoro che, assunto nel profondo, portato avanti con impegno, può sottrarre a quel senso di impotenza e di incertezza che porta a rinchiudersi in se stessi, a rinunciare al sogno, a vivere le scorciatoie o i vicoli ciechi della violenza. Forse questi giorni, in cui abbiamo guardato con più preoccupazione al vuoto dei nostri figli, riflesso dello spaventoso vuoto ideale di una società – che sceglie di cullarsi nella futilità mentre rischiamo la terza guerra mondiale e la catastrofe climatica – potranno ispirarci sulle decisioni giuste da prendere perché la scuola di domani sia capace di cambiare in meglio la vita dei giovani e, quindi, il futuro del mondo.
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