Le affollate periferie dove tutti sono soli

Caivano e altri orrori. Andiamo in periferia per capire

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I gravissimi fatti di Caivano impongono a tutti una riflessione seria sulle nostre periferie. Il tema è complesso e a poco servono passerelle estemporanee o dichiarazioni tonanti che il giorno dopo lasciano il posto, come si dice, ad altri argomenti” del giorno”. Non basta un riflettore che si accende per un solo istante se negli altri giorni si sta al buio.
Non servono nemmeno i luoghi comuni o le parole scontate: come degrado, termine spesso associato a periferia, come se fosse ovvio che i quartieri e le zone urbane lontane dai centri storici debbano essere brutti, abbandonati o invivibili. L’urbanizzazione di massa, l’estrema mobilità delle persone, le migrazioni, sono fenomeni che hanno cambiato il volto alle nostre città. Nelle periferie non vivono più solo gli esclusi o gli emarginati, così come nei centri storici spesso si verifica il fenomeno della “vetrinizzazione”, che spinge fuori i residenti e trasforma le vie e le piazze una volta assai popolate di persone in ambienti dove domina l’offerta turistico -alberghiera – i famosi B&B -e commerciale. Senza contare che diversi sono i contesti e non tutto è omologatile.
Il tema centrale che attraversa le periferie è l’isolamento. Le vite e i percorsi individuali di ciascuno, atomizzati, raramente si incrociano con quelli degli altri. Questo contribuisce non poco a rendere insicure e fragili le loro esistenze. Le politiche pubbliche insistono tanto sul tema della sicurezza dal lato “securitario”: più controlli, più vigilanza, più pattugliamenti. Ma se mancano spazi di incontro e di condivisione l'”io fragile” resta in balia degli eventi e i problemi personali appaiono irrisolvibili, moltiplicando frustrazioni e rabbia.
Chi frequenta le periferie urbane del nostro paese sa che non mancano esperimenti di aggregazioni, suscitati dall’inventiva e dal senso civico dei cittadini, di associazioni, di qualche buon parroco, maestro o assistente sociale. Ma non basta. Una volta le periferie erano piene di sezioni di partito o di sedi distaccate del sindacato. Era lì che si discuteva, si mettevano in comune i problemi, si cercavano soluzioni, si sognava un cambiamento. Oggi la desertificazione degli spazi di incontro è impressionante.
Spesso si sente dire: dov’è lo Stato? Anche questo uno slogano una frase fatta? Forse. Certo è che ormai da anni la politica mortifica, sottraendo loro finanziamenti e risorse umane, proprio i servizi pubblici essenziali alla qualità sociale e alla vita delle persone. Chi più ne fa le spese sono ovviamente le fasce a basso reddito della popolazione. Le periferie avrebbero bisogno non solo di vigili o poliziotti, ma di assistenti sociali e mediatori culturali. In alcune città mancano otto assistenti sociali su dieci.
Un’altra falla del sistema Paese è la dispersione scolastica: in Sicilia arriva al 21%, in Puglia al 17%. Palermo ha un’offerta di 6/8 posti di tempo pieno ogni 100 bambini mentre a Torino si arriva a 60/70. C’è poi la carenza dei servizi di trasporto pubblico, che rende invivibile la giornata tipo di un uomo o una donna che impiegano fino a tre ore complessive per recarsi nel luogo di lavoro e tornare a casa. Del resto, l’assenza degli operatori pubblici nelle strade di periferia non è indolore: viene spesso compensata dalla presenza inquietante delle reti della criminalità organizzata, che fornisce protezione a prezzo di fedeltà dei residenti e di reclutamento di manodopera.
La buona volontà della politica non si misura sulle dichiarazioni ma sui fatti. Ad esempio, dei 3 miliardi di euro stanziati nel Pnrr per riqualificare le aree periferiche delle città metropolitane, una buona metà sembra sia stata stornata su altri capitoli. Non è un bel segnale. Papa Francesco ripete spesso che il mondo e la storia vanno letti e interpretati a partire dalle periferie. Bisogna starci, conoscerle, percorrerle, frequentarle. Non farlo significa restare al buio di visioni e soluzioni e lasciare al buio i “periferici”.

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