Il Giornale di Sicilia, 17 aprile 2016
L`INTERVISTA. Il presidente della Comunità di Sant`Egidio, Marco Impagliazzo: «Portano sulla loro pelle e nella psiche le conseguenze di guerre e violenze»
«Sono persone con nomi e storie, che vivono sul corpo e nella psiche le conseguenze di guerre e violenze. Arrivano in Italia nel rispetto delle regole e dei trattati internazionali, perché erano giunte a Lesbo prima dell`entrata in vigore dell`accordo con la Turchia».
Il presidente della Comunità di Sant`Egidio, Marco Impagliazzo, sottolinea l`importanza di un gesto che riesce a comunicare più di mille parole. Le tre famiglie di profughi siriani giunte a Roma con il Papa sono l`esempio concreto di cosa si potrebbe fare se si istituissero corridoi umanitari a partire dai Paesi di provenienza di chi fugge da guerre e disperazione.
«L`ospitalità di queste persone è a carico del Papa e del Vaticano. Tutto è stato fatto in accordo con i governi italiano e greco. La Comunità di Sant`Egidio ha fatto solo da facilitatore per individuare le famiglie», spiega Impagliazzo.
Come sono state scelte queste famiglie? «Si tratta di persone già richiedenti asilo per motivi umanitari, perché fuggono dalla guerra in Siria e vivono in situazione di vulnerabilità. E questo il criterio di selezione, la vulnerabilità. Una famiglia, infatti, ha i genitori più avanti con gli anni, che avrebbero difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro. Un`altra invece ha un bambino traumatizzato dalle conseguenze del conflitto che ha vissuto. Sono persone con nomi e storie, come dice papa Francesco, ed è un fatto importantissimo».
Dal punto di vista politico che significato assume questo gesto? «Il Papa dice chiaramente che ognuno deve fare la propria parte, che si devono costruire ponti e non barriere e muri. D’altronde il Pontefice, già nel suo nome, è creatore di ponti, è questa la vocazione del Papa. Un aspetto che condividono tutte le Chiese che erano presenti a Lesbo. Di fronte a una crisi migratoria come questa, costruire muri non serve a nulla».
In un mondo politico frammentato, confessioni cristiane diverse si ritrovano insieme al capezzale dei migranti, quasi a voler testimoniare che le religioni devono creare dialogo e non divisione.
«È, un gesto ecumenico importante. Oltre all`ecumenismo del sangue, quello versato dai cristiani perseguitati, esiste un ecumenismo dei poveri, un ecumenismo della carità. C`è un amore per gli altri che ci unisce più che dal punto di vista giuridico».
Anche la Comunità di Sant`Egidio sta lavorando insieme con le Chiese evangeliche l`apertura di corridoi umanitari verso l`Italia dal Libano, dal Marocco e dall`Etiopia. Con quali risultati?
«Finora sono giunte in Italia 93 persone e altre 150 arriveranno a breve. Il progetto ci permetterà di accogliere fino a mille profughi, ma speriamo di estendere anche ad altri. Si tratta di persone che ci vengono segnalate da organizzazioni internazionali che operano in Libano, in Marocco, perché appartengono a categorie particolarmente vulnerabili. Si tratta di malati, anziani, donne con minori. Tutto secondo le regole e tutto sostenuto economicamente dalla Comunità di Sant`Egidio e dalle Chiese evangeliche. Se lo facessero altri Paesi, i numeri potrebbero essere più alti e le vite umane salvate molte di più».
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