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28 Ottobre 2022

L’universale voglia di pace

di Marco Impagliazzo pubblicato il 28/10/2022 su La Nuova Sardegna

Articoli | Non ci sono commenti

Tag: Chiesa, Dialogo, Guerra, Il grido della pace, Pace, Preghiera per la pace, Religioni, Russia, Ucraina

Non c’è solo il rumore assordante della guerra. Dal mondo, percorso da troppi conflitti, si alzano invocazioni di pace che diventano un grido. E sono tante: lo hanno testimoniato con forza i rappresentanti delle grandi religioni mondiali.

Hanno partecipato per tre giorni all’incontro internazionale “Il grido della pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, che si è concluso a Roma, al Colosseo, con Papa Francesco. Milioni di persone nel mondo – anche se spesso la loro voce non trova ascolto – esprimono, in modi diversi, la stessa volontà: “Basta con la guerra”. Dall’Ucraina bombardata alle trincee del Donbass, quelle voci provengono dai feriti, dai morenti, dal lamento dei familiari e degli amici. Le stesse implorazioni di pace si alzano dalla Siria, dal Caucaso, dall’Afghanistan, dall’Etiopia, dal Sahel, da decine di altri luoghi.

«Nel silenzio della preghiera — ha detto papa Francesco – abbiamo sentito il grido della pace: la pace soffocata in tante regioni del mondo, umiliata da troppe violenze, negata perfino ai bambini e agli anziani». Uomini e donne di religione, intellettuali, rappresentanti delle istituzioni – a cominciare dai presidenti Mattarella e Macron – si sono interrogati su come immaginare la pace. Mattarella ha affermato: «Non esiste una “guerra santa”! Deve esistere, invece, una “pace santa”, ad autentico servizio dell’umanità e del suo futuro».

Sono passati 36 anni dalla storica preghiera delle religioni convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II. Era il 27 ottobre 1986. In questi anni il mondo è cambiato, la Guerra Fredda non c’è più (Giovanni Paolo II disse dopo l’89: “Ad Assisi non abbiamo pregato invano”), l’idea dello scontro di civiltà è stata contenuta. La comprensione e l’amicizia tra i mondi religiosi sono cresciute molto, in certi contesti più che quelle tra le nazioni.
L’io che non si sottrae alla responsabilità è quello che si colloca nella pace, è il messaggio spirituale di questi giorni romani. C’è però bisogno di passione e immaginazione. «Si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare – ha osservato pensosamente papa Francesco – che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato».

Le strade di pace ci sono. Si tratta di intravederle, indicarle, aprirle, percorrerle. In questo i leader religiosi possono aprire piste nuove. Ricevendo il Nobel per la pace, Martin Luther King dichiarò: «Mi rifiuto di accettare l’idea che, una nazione dopo l’altra, si debba scendere a spirale nell’inferno della distruzione termonucleare. Credo che anche tra le esplosioni e i proiettili ci sia la speranza di un domani più luminoso».
Esattamente sessant’anni anni fa Giovanni XXIII si rivolgeva a tuttii governanti, per scongiurare la crisi di Cuba, a rischio di scontro atomico: «Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone, alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!». E’ lo stesso grido che è salito dal Colosseo e l’auspicio, in queste ore drammatiche per le minacce nucleari, di tutta l’umanità.

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