Non c’è solo il rumore assordante della guerra. Dal mondo, percorso da troppi conflitti, si alzano invocazioni di pace che diventano un grido. E sono tante: lo hanno testimoniato con forza i rappresentanti delle grandi religioni mondiali.
Hanno partecipato per tre giorni all’incontro internazionale “Il grido della pace”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, che si è concluso a Roma, al Colosseo, con Papa Francesco. Milioni di persone nel mondo – anche se spesso la loro voce non trova ascolto – esprimono, in modi diversi, la stessa volontà: “Basta con la guerra”. Dall’Ucraina bombardata alle trincee del Donbass, quelle voci provengono dai feriti, dai morenti, dal lamento dei familiari e degli amici. Le stesse implorazioni di pace si alzano dalla Siria, dal Caucaso, dall’Afghanistan, dall’Etiopia, dal Sahel, da decine di altri luoghi.
«Nel silenzio della preghiera — ha detto papa Francesco – abbiamo sentito il grido della pace: la pace soffocata in tante regioni del mondo, umiliata da troppe violenze, negata perfino ai bambini e agli anziani». Uomini e donne di religione, intellettuali, rappresentanti delle istituzioni – a cominciare dai presidenti Mattarella e Macron – si sono interrogati su come immaginare la pace. Mattarella ha affermato: «Non esiste una “guerra santa”! Deve esistere, invece, una “pace santa”, ad autentico servizio dell’umanità e del suo futuro».
Sono passati 36 anni dalla storica preghiera delle religioni convocata ad Assisi da Giovanni Paolo II. Era il 27 ottobre 1986. In questi anni il mondo è cambiato, la Guerra Fredda non c’è più (Giovanni Paolo II disse dopo l’89: “Ad Assisi non abbiamo pregato invano”), l’idea dello scontro di civiltà è stata contenuta. La comprensione e l’amicizia tra i mondi religiosi sono cresciute molto, in certi contesti più che quelle tra le nazioni.
L’io che non si sottrae alla responsabilità è quello che si colloca nella pace, è il messaggio spirituale di questi giorni romani. C’è però bisogno di passione e immaginazione. «Si sta verificando quello che si temeva e che mai avremmo voluto ascoltare – ha osservato pensosamente papa Francesco – che cioè l’uso delle armi atomiche, che colpevolmente dopo Hiroshima e Nagasaki si è continuato a produrre e sperimentare, viene ora apertamente minacciato».
Le strade di pace ci sono. Si tratta di intravederle, indicarle, aprirle, percorrerle. In questo i leader religiosi possono aprire piste nuove. Ricevendo il Nobel per la pace, Martin Luther King dichiarò: «Mi rifiuto di accettare l’idea che, una nazione dopo l’altra, si debba scendere a spirale nell’inferno della distruzione termonucleare. Credo che anche tra le esplosioni e i proiettili ci sia la speranza di un domani più luminoso».
Esattamente sessant’anni anni fa Giovanni XXIII si rivolgeva a tuttii governanti, per scongiurare la crisi di Cuba, a rischio di scontro atomico: «Noi ricordiamo i gravi doveri di coloro che hanno la responsabilità del potere. E aggiungiamo: che ascoltino il grido angoscioso che, da tutti i punti della terra, dai bambini innocenti agli anziani, dalle persone, alle comunità, sale verso il cielo: Pace! Pace!». E’ lo stesso grido che è salito dal Colosseo e l’auspicio, in queste ore drammatiche per le minacce nucleari, di tutta l’umanità.
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