Nel 2023 ripartiamo dagli ultimi

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Natale con i tuoi. È vero ed è un’esigenza sentita da tutti, fortemente consolidata, con i suoi riti e le sue tradizioni, che si sono ripetute anche quest’anno. Ma chi non ha famiglia ed è solo, chi risente in pieno delle difficoltà ad andare avanti per la pandemia, prima, per il carovita oggi?

Quarant’anni fa era certamente un’altra era. Ma la povertà esisteva anche allora e il Natale arrivava come sempre, come è arrivato ai giorni nostri, con la sua atmosfera gioiosa e al tempo stesso carica di consumismo. Tanto da far pensare, per molti aspetti, a “una festa senza il festeggiato”, che per i cristiani è Gesù, nato povero, deposto in una mangiatoia, non accolto dagli uomini, perché — si legge nel Vangelo di Luca — “non c’era posto per lui nell’albergo”.

A Santa Maria in Trastevere si pensò che occorreva lasciare un segno per non abbandonare, proprio il giorno di Natale, chi doveva invece esserne al centro. Così, il 25 dicembre del 1982, dopo la messa di mezzogiorno, si imbandì una tavola sotto l’altare invitando chi sarebbe rimasto escluso dalla festa: una quarantina tra senza fissa dimora, anziani del quartiere che altrimenti avrebbero passato il Natale da soli, e i loro amici della Comunità. Da allora questa tradizione inaugurata da Sant’Egidio ha fatto strada ed diventata l’icona del “vero Natale” offerta a tutti perché attraversa ogni continente.

Basta pensare che in questo quarantesimo anniversario del primo pranzo di Natale con i poveri si sono seduti a tavola 250mila persone nel mondo, di cui 80mila in Italia. Anche in Sardegna, per la prima volta a Cagliari, nel santuario di Nostra Signora di Bonaria, con alcuni senza fissa dimora insieme a famiglie ucraine, fuggite dalla guerra e ospitate nel nostro capoluogo.

In tutti i luoghi dove si sono svolti i pranzi, le tavole sono state addobbate come si addice alla festa: tovaglie rosse e apparecchiatura come si deve (anche se interamente compostabile). Invitati di riguardo, oltre a chi vive per strada, anziani, famiglie in difficoltà, immigrati giunti con i corridoi umanitari insieme ad altri stranieri che, grazie all’integrazione, sono già di fatto “nuovi italiani”. Un Natale per tutti, che non esclude nessuno.

Ogni invitato aveva ricevuto un invito personale, con il proprio nome: ci si conosce perché conosciuti e accompagnati tutto l’anno da coloro che aiutano, non tanto volontari, quanto familiari. Questa è decisamente la marcia in più del pranzo di Sant’Egidio, un messaggio forte per il momento difficile che stiamo vivendo: alla tavola del Natale, che è stata imbandita in un centinaio di città, tra piccole e grandi d’Italia, si è seduto insieme chi aiuta e chi è aiutato.

Non è stato solo un servizio a chi ha bisogno, ma una festa di famiglia. In Italia come in altri paesi europei, in Africa come in America Latina, in città che vivono il fenomeno dei bambini di strada e, più in generale, dei minori in difficoltà, che si cercano di strappare alla violenza diffusa nelle sterminate baraccopoli. Senza dimenticare le carceri, che nel periodo della pandemia hanno vissuto un tempo difficile e doloroso anche in Italia.

Certo, sono eventi di questi giorni, legati al Natale, all’eccezionalità della festa, si potrebbe dire. Ma in realtà è una proposta che viene offerta alla vita di tutti i giorni. Una luce in un tempo che purtroppo, per tanti aspetti, è buio, ma anche la chiave per uscirne. Il mondo come dovrebbe essere sempre: seduti a tavola, insieme, senza muri che dividono le genti, senza amici e nemici, con il desiderio di costruire il futuro senza restare inchiodati alle ragioni e ai torti del passato.

Utopia? La realtà di questi pranzi dimostra che è possibile. Anche perché — come ripete Papa Francesco — “nessuno si salva da solo”. Si può partire quindi da questi giorni di Natale per immaginare anche cambiamenti concreti nel nostro presente e sperare che la realtà di persone, spesso tanto diverse tra loro, sedute allo stesso banchetto, possa anche aprire nuove vie di pace nel mondo, con un pensiero particolare all’Ucraina, che questo Natale – il 25 dicembre o il 7 gennaio (secondo il calendario della Chiesa ortodossa) – lo ha passato o lo passerà ancora sotto la minaccia delle bombe e al freddo.

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