Un patto tra generazioni per la Memoria

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Il 27 gennaio 1945 l’esercito sovietico, nella sua avanzata verso il cuore della Germania, entrò in una struttura fatta di baracche: videro cadaveri ammucchiati in mezzo alla neve e personaggi scheletrici che si aggiravano come spettri in quel paesaggio desolato. Sulle carte, il paesino più vicino era indicato con il nome polacco, Oswiecim. In tedesco Auschwitz: il più grande campo dell’universo concentrazionario nazista, formato dal complesso di Auschwitz I, una vecchia caserma prussiana riadattata a campo di concentramento, dove era stata costruita una prima camera a gas rudimentale.

Oggi ricordiamo quel giorno, data della liberazione di Auschwitz, e quindi la fine della Shoah, la più grande tragedia dell’umanità. In quale contesto si era svolta? Certamente quello del razzismo e dell’antisemitismo, senza dimenticare il nesso tra genocidio e guerra. La guerra rappresenta una rottura della vita sociale che apre le porte a ogni orrore. In guerra tutto è permesso: lo stato d’eccezione e di emergenza in cui ci si viene a trovare rende lecito qualunque atto e sovverte la base della convivenza civile, in primo luogo il rispetto per la vita umana. Non è un caso che i testimoni della Shoah, tra cui, in Italia, Liliana Segre ed Edith Bruck, abbiano espresso lo smarrimento e la preoccupazione per il risorgere dei venti di guerra in Europa nell’ultimo anno.

Ma oltre ai conflitti un altro elemento caratterizza i contesti in cui avvengono i genocidi: la crisi dei regimi democratici e l’instaurazione di regimi forti se non di vere e proprie dittature. Ha ragione Noemi Di Segni, la presidente dell’Unione della Comunità Ebraiche Italiane, quando addita il pericolo di far passare l’idea che ci sia un fascismo buono, quello prima del 1938 cioè di prima delle leggi antisemite, e un fascismo cattivo, quello antisemita. Il problema non è solo il 1938, il problema è il 1922, cioè l’inizio del potere fascista con la marcia su Roma, di cui lo scorso anno abbiamo ricordato i 100 anni.

Quando la democrazia e il rispetto per le minoranze finisce, tutto è possibile. Per questo l’antifascismo è un elemento fondamentale della nostra democrazia e chi occupa posizioni di responsabilità politica nel nostro paese non può esimersi dal professarlo apertamente e fieramente, perché sotto il regime mussoliniano chi era contro stava in galera, mentre nella nostra repubblica democratica – e antifascista – i nostalgici di quel regime sono stati in parlamento, godendo della libertà che la nostra costituzione concede a tutti.

Liliana Segre ha paventato che in futuro la Shoah venga dimenticata, relegata a “una riga nei libri di storia, e poi neanche più quella”. La senatrice sente che di anno in anno aumenta l’indifferenza per la memoria della Shoah. I suoi timori sono fondati: c’è bisogno di un patto tra le generazioni, anche perché i testimoni di quella tragedia sono sempre meno. Occorre dire a Segre che dopo di loro ci saremo noi a ricordare e che quella memoria non riguarda solo gli ebrei. Riguarda tutti: l’odio che ha colpito in maniera genocida è debordato sovrastando tutta l’Europa, investendo tanti, in forme diverse, meno radicali, ma comunque dolorose: l’Europa della Shoah con i 6 milioni di morti ebrei, di cui 1 milione bambini, è uscita distrutta dalla guerra, devastata dagli odii nazionali e dall’ideologia nazifascista.
La violenza, quando si scatena, vive di vita propria, non si controlla, colpisce tutti. Questo ci richiama a quella comunanza di destino che chi alza muri o divide il genere umano in razze non riconosce. L’odio prima o poi, investe tutti, anche chi lo genera.

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