Caro direttore,
l’immigrazione in Italia andrebbe, una volta per tutte, affrontata con realismo pensando al bene comune, senza correre dietro ad immagini distorte o allarmistiche, per non parlare di espressioni e giudizi che aprono il campo a manifestazioni intolleranza e xenofobia. Soprattutto, andrebbe combattuta l’idea che si tratta di un fenomeno ingestibile. È la stessa realtà a smentirlo.
Basta pensare che gli stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni e 200mila unità, vale a dire l’8,8 per cento della popolazione, persone e famiglie che, in diverse forme, contribuiscono ormai da anni alla crescita della nostra economia e al nostro gettito fiscale. Un numero che dimostra quanto sia possibile integrare chi viene da altre nazioni nel tessuto socio-economico del nostro paese.
È questa la strada maestra che occorre continuare a percorrere: la presenza regolare. Perché farebbe bene non solo agli stranieri che aspirano a vivere con dignità in un paese in cui c’è lavoro e democrazia, ma anche agli italiani che peraltro spesso li richiedono senza riuscire a farli entrare, in assenza di strumenti che lo consentano.
Infatti, secondo i dati Eurostat, per mantenere il suo livello di produttività l’Italia dovrebbe acquisire ogni anno almeno 200mila lavoratori stranieri. Perché non raggiungere o almeno avvicinarci a questa quota fisiologica anziché lasciare alla criminalità la gestione dei flussi migratori che alimentano i viaggi sulle carrette del mare e, di conseguenza, anche le troppo frequenti tragedie nelle acque del Mediterraneo? Gestire anziché farsi gestire. Alcune proposte concrete, che si possono riassumere in 5 punti, aiuterebbero a prosciugare l’irregolarità a vantaggio di tutti.
Prima di tutto una revisione al rialzo del cosiddetto «decreto flussi», cioè la quota di persone che possono entrare ogni anno per motivi di lavoro. L’ultimo, varato nel dicembre 2021, ha previsto l’ingresso di 69.000 unità allargando la platea dei candidati rispetto agli anni precedenti, ma si tratta di una cifra ancora inadeguata rispetto le esigenze.
In secondo luogo: è giusto privilegiare l’ingresso ai lavoratori che provengono da paesi con i quali l’Italia ha stipulato un accordo di cooperazione, ma ciò dovrebbe avvenire solo in modo prioritario e non esclusivo, altrimenti si preclude questa possibilità a nazionalità che hanno dimostrato un’importante capacità di integrazione e di radicamento come quella peruviana e colombiana, solo per fare due esempi, o che resterebbero nelle mani dei trafficanti di essere umani, come nel caso dell’Eritrea o di altri paesi africani. Se si vuole davvero contrastare l’immigrazione illegale occorre che l’ingresso regolare venga visto, da chi intende migrare, come un obiettivo raggiungibile.
Terzo: è giusto privilegiare alcuni settori produttivi particolarmente richiesti (come quello dell’autotrasporto, dell’edilizia e del turistico alberghiero) ma non bisogna escludere altre professionalità come quelle che riguardano i servizi domestici o di assistenza alle persone fragili e alle famiglie, per le quali si registra una forte domanda inevasa.
Quarto: stabilizzare la norma del giugno scorso (aggiuntiva al decreto flussi) che prevede di presentare la domanda di assunzione anche per i lavoratori stranieri non residenti ma presenti in Italia. In altre parole, uscendo dal linguaggio burocratico, favorire il prosciugamento degli immigrati che vivono nel nostro paese ma che, per motivi vari, attualmente risultano irregolari. La gran parte di loro lo sono infatti solo per motivi amministrativi e non perché hanno violato la giustizia.
Quinto: introdurre una quota annuale di ingressi per «ricerca lavoro» su chiamata di un «prestatore di garanzia» che assicurerebbe il mantenimento della persona per almeno un anno. Il motivo è presto detto: questo meccanismo, sia pure contingentato, permetterebbe a molti parenti già presenti in Italia di far venire alcuni familiari in modo regolare invece che clandestinamente.
Cinque proposte facilmente applicabili perché in sintonia con il nostro sistema normativo e facilmente condivisibili se ci si pone di fronte al fenomeno dell’immigrazione non in modo ideologico ma con risposte concrete che favoriscono l’integrazione e, quindi, la crescita umana, sociale ed economica del nostro paese.
L’autore è Presidente della Comunità di Sant’Egidio
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