Radio Vaticana, 9 giugno 2015
di Francesca Sabatinelli
Nel mondo plurale, nella società globalizzata, non si può costruire una riconciliazione tra Oriente e Occidente se non si parte da un punto comune: la condanna, il rigetto di ogni tipo di violenza e della guerra. E’ la base sulla quale si è lavorato ieri e oggi a Firenze, alla conferenza promossa dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Oriente e Occidente: dialoghi di civiltà”. A confronto numerose autorità del mondo islamico, tra cui il grande imam dell’Università Al Azhar del Cairo, Muhammad Al-Tayyeb. Francesca Sabatinelli ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio:
R. – La prima fase del cammino è il rifiuto della violenza, della guerra, facendo anche un’autocritica perché nei due mondi la guerra purtroppo è stata uno strumento di regolazione dei conflitti per troppi anni. Penso all’Europa con le due Guerre mondiali o alle tante guerre che sta vivendo oggi il Medio Oriente. Quindi, il primo punto è questo. La seconda è quella di leggere la realtà – perché la realtà sta cambiando – con occhi nuovi, con occhi diversi e quindi di proporre modelli educativi ai nostri giovani che siano modelli educativi corrispondenti alla realtà dell’oggi. Sostanzialmente, per prendere in prestito una parola del Concilio Vaticano II, fare un “aggiornamento” dei nostri modelli educativi perché i nostri giovani crescano in una società migliore.
D. – Grandi spunti di riflessione sono stati lanciati ieri, nella prima giornata lavori, e sono arrivati da voci autorevoli: dal professor Riccardi e dal grande imam Al-Tayyeb. Da una parte, si è sottolineata la necessità di colmare il vuoto di incontro e dialogo tra Oriente e Occidente, dall’altra si è denunciato in modo chiaro quasi il fallimento finora del dialogo tra le religioni e le civiltà, e a testimoniarlo è lo scontro evidente tra il mondo arabo islamico e l’Occidente…
R. – Il problema è circoscrivere questo scontro che c’è in atto, che è generato soprattutto da motivazioni politiche ed economiche e molto poco da motivazioni religiose. Anche perché chi usa la religione per la violenza o per l’estremismo ha una falsa idea della religione. Quindi, l’idea di Firenze è proprio quella di circoscrivere lo scontro iniziando un nuovo incontro che forse non c’è mai stato. Nonostante le nostre civiltà si siano incontrate anche nel passato, oggi c’è la speranza di gettare un nuovo seme che porti frutti un giorno. Quindi, questi intrecci da Oriente a Occidente possono rappresentare una piattaforma comune in grado di contribuire all’avvio di un avvicinamento tra le due civiltà.
D. – Il messaggio che esce da Firenze è quello di voler circoscrivere le forti diffidenze che ci sono tra Oriente e Occidente, che hanno generato paura, che hanno generato rabbia… Come farete in modo concreto a portare avanti questo messaggio?
R. – Purtroppo, il nostro mondo è segnato, in questo tempo di paura e di crisi, dalla rassegnazione. A Firenze abbiamo fatto un passo fuori dalla rassegnazione, perché nella rassegnazione non nasce nulla. Qui abbiamo invece detto che l’incontro che ci fa conoscere, che ci fa superare le paure reciproche è il primo passo per superare una rassegnazione che in realtà crea solo deserti e per far fiorire invece giardini laddove sono deserti. Il modo pratico è venirsi incontro nei momenti di difficoltà. Oggi, noi occidentali dobbiamo soccorrere in un certo senso, essere solidali con un mondo musulmano che sta soffrendo le gravi crisi di una guerra, di una violenza terroristica che è nata dal suo stesso interno, dalla sua stessa gente e che ormai ne sta subendo profondissime conseguenze. Il primo modo è quello di non condannarci reciprocamente, di non ignorarci, ma quello di conoscerci a fondo e per far questo incontrarci perché la lontananza è frutto di ignoranza. Oggi, noi scegliamo la via dell’incontro.
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