La lezione senza tempo di don Milani

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Si celebra oggi a Barbiana, alla presenza del presidente Mattarella, il centenario della nascita di una grande figura della Chiesa italiana del passato, marginalizzato eppure incredibilmente fecondo nel tempo, don Lorenzo Milani. Questo prete fiorentino, figlio di una famiglia borghese, che visse il suo ministero pastorale nella “periferia” della diocesi di Firenze, resta un modello ancora oggi per tanti cattolici che sull`onda del Concilio, dagli anni Sessanta ai nostri giorni si sono impegnati per fare scuola e cultura ai tanti che ne rischiano di restare ai margini.
Erano gli anni del dopoguerra, l’Italia si stava trasformando e tanto era letto attraverso le lenti dello scontro ideologico. Ma don Milani, cappellano a San Donato di Calenzano, grosso borgo tra Firenze e Prato, coglie l’ignoranza e le contraddizioni dei suoi parrocchiani e spiega il progressivo allontanamento dalla Chiesa più con quella arretratezza che non con la propaganda comunista.
Allo stesso modo, quando viene trasferito come priore a Barbiana, piccolo borgo isolato del Mugello, capisce prima di tutti l`esodo dalle montagne che si stava verificando, le sue ragioni, e l`isolamento di chi era rimasto. Sia a San Donato che a Barbiana don Milani ha una precisa missione: mettersi al servizio del piccolo popolo che ha in cura, credendo profondamente che la sua Scuola Popolare possa costruire un futuro migliore per i piccoli che la frequentano e che conosce uno per uno con grande passione evangelica.
Annotava su Esperienze Pastorali, con una convinzione controcorrente rispetto a sensibilità diffuse allora sia nel mondo cattolico che in quello comunista: «Quando ripresi la scuola nel 1952-53 avevo ormai superato ogni interiore esitazione: la scuola era il bene della classe operaia, la ricreazione era la rovina della classe operaia. Con le buone o con le cattive bisognava dunque che tutti i giovani operai capissero questo contrasto e si schierassero dalla parte giusta».
Don Milani amava dire che la scuola «siede tra il passato e il futuro». A scuola “si è liberi”, liberi dalle paure di un tempo spaesato, dalla pressione mediatica, dalle semplificazioni e dai luoghi comuni, e si scorge il futuro. La scuola trasmette il nostro passato, indaga il nostro presente, ma ci rivela anche il nostro futuro.
E poi, la scuola come cuore per la comunicazione del messaggio evangelico a chi, senza istruzione, avrebbe avuto maggiori difficoltà a viverlo pienamente: «La scuola mi è sacra come un ottavo Sacramento. Da lei mi attendo la chiave, non della conversione, perché questa è segreto di Dio, ma certo dell`evangelizzazione di questo popolo». La scuola non come fine a sé stessa.
Neanche le grandi novità del modo di procedere del prete toscano riguardo ai libri, le statistiche, le interviste, i viaggi, lo erano. Don Milani voleva capire la sua gente per poter parlare loro, in modo vero, del Vangelo.Si poneva la domanda di come vivessero la fede i parrocchiani del suo piccolo borgo e di come avrebbero potuto viverla in maggiore consonanza con i tempi. L`opera più conosciuta, scritta dai ragazzi della sua Scuola Popolare, Lettera a una professoressa, non è solo la denuncia dell`incapacità della scuola pubblica di colmare il dislivello di preparazione dei figli dei contadini con quello dei figli dei “signori” – in pratica l’accusa di classismo al sistema scolastico – ma è anche il riconoscimento di quel universo contadino di miseria e deprivazione abbandonato dalla cultura del boom italiano degli anni Cinquanta e Sessanta.
Grazie al suo influsso nacquero dal nulla tante esperienze di scuola alternativa. Del resto, gli stessi ragazzi di Barbiana scrivono nel loro testo: «La scuola costa poco, un po` di gesso, una lavagna, qualche libro regalato, quattro ragazzi più grandi ad insegnare, un conferenziere ogni tanto a dire cose nuove e gratis».
Questo prete, sempre dalla parte degli ultimi, e per questo accusato ingiustamente di simpatie comuniste, seppe sempre essere fedele al Vangelo e ai poveri senza ideologie o schieramenti. Come scrisse nella famosa lettera al giovane comunista Pipetta: «Quando tu non avrai più né fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò».

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